La nuova squadra

La nuova squadra

Atletica Franciacorta

Atletica Franciacorta


Il mio credo in queste parole

Il mio credo in queste parole


Il vero leone lo vedi solo fuori dal branco.
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco ed i puntini sulle i piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza pers eguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire dai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualche cosa che conosce. Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo maggiore del solo respirare. solamente l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendita felicità.

(P.Neruda)

RICORDATI DI OSARE, SEMPRE!!!!


giovedì 13 ottobre 2016

Un anno senza Urcis

Urcis.
Un nome che racchiude in se tutto un anno di attesa, la certezza di divertimento, risate e birra a volontà. Eppoi lo spiedo.
Ma racchiuso in questa parola strana sta tutto un mondo, fatto di pedalate, risate, sudore e fatica, amici, fenomeni, terra e fango, polvere e sabbia.....
E da sempre ne faccio parte.
Ma quando si mette assieme sfiga, età, poco allenamento e, forse, un poco di voglia in meno, capita che ti fai male seriamente una settimana prima e passi questa settimana cercando di rimediare, tra un medico ed un altro, tra cure improbabili e tentativi che sfociano, irrimediabilmente, nella delusione del "lasciar perdere" perché altro da fare non c'è.
Quanti anni sono passati dalla priva volta su ruote grasse lungo gli argini del fiume nel parco dell'Oglio? non lo ricordo neppure. Era una gara invernale, a febbraio se non ricordo male, e pedalavi tra fango e neve, bardato come un orso polare, con le dita blu dal freddo ed il naso che colava congelato..... Ed è qua che ho conosciuto i ragazzi della Sacheschingem, Charlie e compagnia, compagnoni di risate e battute sul mio fondo schiena decisamente non piccolino ma che mi han sempre fatta sentire a casa anche quando arrivavo, ricoperta di fango, tra gli ultimi al traguardo.
Mi divertivo come una matta su quel percorso che mi ricordava le montagne russe, il lunghissimo single track nel bosco dove, nonostante imbranata fino al midollo, davo tutto quello che avevo pur di passare incolume.
Ed il sabbione lungo il fiume dove immancabilmente mi impantanavo o, ancora, il ghiaione dove dovevo galleggiare ed arrancavo a piedi; un anno il fiume si era ripreso e mangiato parte del percorso ed al posto della ghiaia vi era un guado da fare ad ogni giro, un freddo che non ti dico ma, nonostante tutto, aspettavo sempre la data di questa gara perchè la adoravo. E poi, otto anni fa, la prima sei ore sullo stesso percorso. Ed è iniziato questo amore a prima vista, una festa a cui non potevo mancare ed ogni singola volta arrivavo, dopo un giro o dieci, con il sorriso  sulle labbra, qualche birra in corpo e felice come non mai!
Spezzoni di film mentali mi passano nella testa, dal biker della Kinomana vestito da tortellino che pedalava cantando, a chi correva vestito  strano con parrucca e riccioli al vento, ai fenomeni che vogliono passare anche quando è veramente impossibile e ti passano sopra per poi arrivare esimi come te......
Alla festa che seguiva ad ogni gara, con lo spiedo servito al tavolo per piu di mille persone, alle premiazioni a cui a volte, per puro culo più che per merito, arrivavo anche io.
E quelle medaglie, quelle coccarde o gagliardetti sono a casa, su di una vecchia libreria dove ho raccolto la mia storia di ciclista, poco competitiva ma innamorata delle ruote grasse, ed hanno un posto d'onore perché la Urcis l'ho nel cuore.
Sabato 2 ottobre, alle 11 del mattino ero li, a Barco, con le stampelle.
Vedere Andrea che lavorava gonfiando e piazzando l'arco dell'arrivo, gli altri della squadra a tirar transenne e sistemare tutto per la buona riuscita della gara mi ha fatto sentire ancora a casa nonostante tutto.
Ho ritirato il pacco gara, ho salutato alcune persone ed alcuni ciclisti, ho fatto un giro e sono andata a sedermi lungo il percorso, quel percorso che conosco a memoria ormai.
Ed ammetto di aver avuto le lacrime agli occhi. Un nodo alla gola ed allo stomaco.
Chi mi conosce davvero sa che amo la mtb piu di tutto, che ho implorato i miei superiori di lasciarmi libera la domenica mattina per gareggiare, e l'ho fatto per anni, accettando di lavorare il sabato anche 12 ore oppure la domenica sera pur di poter correre. Mi sono allenata di notte col faro in testa, ho macinato chilometri e chilometri nei giorni liberi pur di riuscire a portare a termine le gare e cui mi iscrivevo, con tanta fatica perchè i chilometri erano sempre pochi, io pesavo sempre troppo o mi ammalavo con una facilità sconcertante.
Ho combattuto, tenuto duro, accettato di ingoiare farmaci per non  sentire male e pedalare comunque ma probabilmente, ora il mio corpo ha detto stop.
Dopo aver guardato passare lungo il percorso i ragazzi che provavano la gara, piano piano me ne sono tornata con le stampelle alla macchina e, tristemente, sono tornata a casa.
Ci ho pensato tutto il giorno, a quanti giri ( pochi di sicuro) avrei potuto fare, a quante birre mi sarei bevuta, allo spiedo di cui ho tenuto il buono sul tavolo della cucina per una settimana, alla festa ed all'aria che avrei respirato.
Ho letto le classifiche nei giorni seguenti partendo dal fondo come ho sempre fatto in 35 anni di bici, perché è li che mi trovavo, non leggendo il mio nome stavolta.
Un pò di amarezza ed un velo sugli occhi.
Ma so gia che, nonostante tutto, farò del mio meglio per esserci il prossimo anno, magari solo un giro o due ma l'aria che vi si respira mi tiene a galla per sei mesi ed è bello far parte di questo mondo di "folli" che mangiano fango e polvere e che ne sorridono.
Grazie di esserci Urcis!

Un anno senza Urcis

Urcis.
Un nome che racchiude in se tutto un anno di attesa, la certezza di divertimento, risate e birra a volontà. Eppoi lo spiedo.
Ma racchiuso in questa parola strana sta tutto un mondo, fatto di pedalate, risate, sudore e fatica, amici, fenomeni, terra e fango, polvere e sabbia.....
E da sempre ne faccio parte.
Ma quando si mette assieme sfiga, età, poco allenamento e, forse, un poco di voglia in meno, capita che ti fai male seriamente una settimana prima e passi questa settimana cercando di rimediare, tra un medico ed un altro, tra cure improbabili e tentativi che sfociano, irrimediabilmente, nella delusione del "lasciar perdere" perché altro da fare non c'è.
Quanti anni sono passati dalla priva volta su ruote grasse lungo gli argini del fiume nel parco dell'Oglio? non lo ricordo neppure. Era una gara invernale, a febbraio se non ricordo male, e pedalavi tra fango e neve, bardato come un orso polare, con le dita blu dal freddo ed il naso che colava congelato..... Ed è qua che ho conosciuto i ragazzi della Sacheschingem, Charlie e compagnia, compagnoni di risate e battute sul mio fondo schiena decisamente non piccolino ma che mi han sempre fatta sentire a casa anche quando arrivavo, ricoperta di fango, tra gli ultimi al traguardo.
Mi divertivo come una matta su quel percorso che mi ricordava le montagne russe, il lunghissimo single track nel bosco dove, nonostante imbranata fino al midollo, davo tutto quello che avevo pur di passare incolume.
Ed il sabbione lungo il fiume dove immancabilmente mi impantanavo o, ancora, il ghiaione dove dovevo galleggiare ed arrancavo a piedi; un anno il fiume si era ripreso e mangiato parte del percorso ed al posto della ghiaia vi era un guado da fare ad ogni giro, un freddo che non ti dico ma, nonostante tutto, aspettavo sempre la data di questa gara perchè la adoravo. E poi, otto anni fa, la prima sei ore sullo stesso percorso. Ed è iniziato questo amore a prima vista, una festa a cui non potevo mancare ed ogni singola volta arrivavo, dopo un giro o dieci, con il sorriso  sulle labbra, qualche birra in corpo e felice come non mai!
Spezzoni di film mentali mi passano nella testa, dal biker della Kinomana vestito da tortellino che pedalava cantando, a chi correva vestito  strano con parrucca e riccioli al vento, ai fenomeni che vogliono passare anche quando è veramente impossibile e ti passano sopra per poi arrivare esimi come te......
Alla festa che seguiva ad ogni gara, con lo spiedo servito al tavolo per piu di mille persone, alle premiazioni a cui a volte, per puro culo più che per merito, arrivavo anche io.
E quelle medaglie, quelle coccarde o gagliardetti sono a casa, su di una vecchia libreria dove ho raccolto la mia storia di ciclista, poco competitiva ma innamorata delle ruote grasse, ed hanno un posto d'onore perché la Urcis l'ho nel cuore.
Sabato 2 ottobre, alle 11 del mattino ero li, a Barco, con le stampelle.
Vedere Andrea che lavorava gonfiando e piazzando l'arco dell'arrivo, gli altri della squadra a tirar transenne e sistemare tutto per la buona riuscita della gara mi ha fatto sentire ancora a casa nonostante tutto.
Ho ritirato il pacco gara, ho salutato alcune persone ed alcuni ciclisti, ho fatto un giro e sono andata a sedermi lungo il percorso, quel percorso che conosco a memoria ormai.
Ed ammetto di aver avuto le lacrime agli occhi. Un nodo alla gola ed allo stomaco.
Chi mi conosce davvero sa che amo la mtb piu di tutto, che ho implorato i miei superiori di lasciarmi libera la domenica mattina per gareggiare, e l'ho fatto per anni, accettando di lavorare il sabato anche 12 ore oppure la domenica sera pur di poter correre. Mi sono allenata di notte col faro in testa, ho macinato chilometri e chilometri nei giorni liberi pur di riuscire a portare a termine le gare e cui mi iscrivevo, con tanta fatica perchè i chilometri erano sempre pochi, io pesavo sempre troppo o mi ammalavo con una facilità sconcertante.
Ho combattuto, tenuto duro, accettato di ingoiare farmaci per non  sentire male e pedalare comunque ma probabilmente, ora il mio corpo ha detto stop.
Dopo aver guardato passare lungo il percorso i ragazzi che provavano il percorso, piano piano me ne sono tornata con le stampelle alla macchina e, tristemente, sono tornata a casa.
Ci ho pensato tutto il giorno, a quanti giri ( pochi di sicuro) avrei potuto fare, a quante birre mi sarei bevuta, allo spiedo di cui ho tenuto il buono sul tavolo della cucina per una settimana, alla festa ed all'aria che avrei respirato.
Ho letto le classifiche nei giorni seguenti partendo dal fondo come ho sempre fatto in 35 anni di bici, perché è li che mi trovavo, non leggendo il mio nome stavolta.
Un pò di amarezza ed un velo sugli occhi.
Ma so gia che, nonostante tutto, farò del mio meglio per esserci il prossimo anno, magari solo un giro o due ma l'aria che vi si respira mi tiene a galla per sei mesi ed è bello far parte di questo mondo di "folli" che mangiano fango e polvere e che ne sorridono.
Grazie di esserci Urcis!