La nuova squadra

La nuova squadra

Atletica Franciacorta

Atletica Franciacorta


Il mio credo in queste parole

Il mio credo in queste parole


Il vero leone lo vedi solo fuori dal branco.
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco ed i puntini sulle i piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza pers eguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire dai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualche cosa che conosce. Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo maggiore del solo respirare. solamente l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendita felicità.

(P.Neruda)

RICORDATI DI OSARE, SEMPRE!!!!


lunedì 26 maggio 2008

12 ore mtb del Magredi


Ci ho messo un pochino di tempo a capire quale fosse il significato di questa parola…. terre magre.
Quella materia magra composta di terra e sassi che poco regala agli uomini anche se lavorata, tipica di questa parte del Friuli, ed è in queste terre che ho voluto provare una nuova avventura endurance di mtb a cavallo della mia Valchiria.
Due e-mail per inviare l’iscrizione, la risposta da parte dell’organizzazione e via che si parte, un sabato mattina, alla volta di San Quirino, Pordenone.
Accetto la sfida con me stessa per questa 12 ore che parte a mezzanotte del sabato ed arriva all’ora di pranzo della domenica, una battaglia con la stanchezza, il sonno ed il freddo.
Anche in Friuli in tempo è stato inclemente negli ultimi giorni ed ha piovuto tanto da lasciare vaste pozzanghere e veri e propri laghetti all’interno del parco che ospita questo evento sportivo.
All’arrivo ho la fortuna di incontrare proprio uno degli organizzatori, Livio, ed è sempre lui che mi indica dove parcheggiare e piantare la tenda che sarà il mio “campo base” durante tutta la gara.
Il posto affidatomi è esattamente sul percorso, accanto all’arrivo, ai servizi ed al tendone ristoro.
Il tempo passa veloce tra il piantare picchetti e far si che la tenda non mi crolli sulla testa ed il sistemate tutto quanto occorre; ho anche il tempo di provare il percorso prima che faccia buio, lo percorro piano e cerco di memorizzare i passaggi più ostici e tecnici, con la notte sarà più difficile capire come comportarsi in gara.
Il terreno è davvero pesante in alcuni punti ma ho passato di peggio in altre gare ed il pensiero corre alla 24 ore di Idro dello scorso anno, un mare di fango ed acqua che ci ricopriva dalla testa ai piedi, ti si appiccicava addosso e appesantiva la bike tanto da doversi fermare spesso a lavarla.
La sera arriva ed un cielo sempre più scuro non promette nulla di buono ma tutti siamo li, col naso per aria e diciamo “ma non vedrai, non pioverà stanotte…”, un modo come un altro per convincere noi stessi che andrà tutto bene ed anche l’evidenza delle prime gocce di pioggia non ci fa arrendere.
Ordiniamo la pizza tutti assieme e nel capannone centrale si cena e si conversa.
Mi ero messa un po’ in disparte, defilata, non conosco nessuno dei bikers friulani ma loro mi chiamano e mi invitano al loro tavolo; non siamo in tantissimi, molte squadre hanno dato forfait per il tempo, altre non hanno confermato l’iscrizione ed è un peccato perché i ragazzi dell’organizzazione si sono dannati per far si che andasse tutto bene; scopro pure che sono quasi tutte squadre dei vigili del fuoco e tra loro dei veri campioni che difendono i colori nazionali in gare di grosso livello.
Alla fine della cena sono “adottata” vigile del fuoco anche io.
Decido di riposare un po’ prima della gara ma dormire è impossibile, l’adrenalina fa battere il cuore veloce ma li, sdraiata in tenda, ripenso al percorso, cerco di vederlo nella mia testa come se fossi in bike e memorizzo quei due o tre passaggi che non mi piacciono molto.
Mi accorgo anche che mi pervade una calma serena, una consapevolezza: so che ce la posso fare, con calma come sempre ma arriverò fino in fondo; e so che dovrò dosare le forze, non ho cambio in corsa durante la gara, sono nella categoria Only e qua la classificano Extreme!
Ho preparato una serie di borracce, barrette energetiche, qualche piccolo panino, qualche cosa di dolce, tutto a portata di mano ed avendo la tenda vicino al percorso devo solo fare una piccolissima deviazione di alcuni metri per fare rifornimento…. E proprio carino il mio campo base con tanto di picchetto fuori e le insegne del G.C. Iseo scritte in rosso, ho fatto le foto per i posteri!
Dai che è ora, mezzanotte di avvicina; si parte in stile Le Mans, a piedi o di corsa e la bike 300 metri più avanti. Tutti quanti decidono di partire a piedi, c’è tutta la notte per correre,.
Via nel parco, lungo i muri perimetrali di questo bel posto, e poi fuori, sulle strada che fiancheggia i muri stessi e di seguito nel magredo friulano.
I primi giri scorrono veloci, i km si accumulano nelle gambe ma è tutto ok…. E poi il buio mi assale! La batteria dei fari ha mollato di punto in bianco e mi ritrovo all’oscurità più completa circa a metà percorso ed un attimo di paura e di smarrimento… che faccio ora?
Meno male che sono in una zona del percorso in cui si vedono le luci del paese vicino, in mezzo ai campi sarebbe stato molto peggio! Vado a memoria per un chilometro e mezzo poi mi raggiunge un altro ciclista e gli chiedo di rallentare giusto il tempo di uscire su strada: seguo la sua luce e ben presto sono all’arrivo, lo passo gridando “21” il mio numero per i giudici di gara e di corsa a cambiare la batteria.
Di nuovo nella notte spingendo sui pedali ma dopo tre ore inizia un diluvio incredibile, è talmente forte la pioggia che seppur con i fari al massimo quasi centro un albero all’interno del parco…ero a destra e credevo di essere dal lato opposto del sentiero.
Molti come me decidono di fermarsi un poco, sparando spiova velocemente o, almeno, si riduca l’intensità del temporale: mi rifugio nella tenda, mangio qualche cosa e mi stendo sul materasso ed iniziano i guai….i muscoli sentono la stanchezza ed il freddo e lo stare fermi non aiuta di certo. Mi avvolgo nella coperta dopo essermi cambiata e messa cose asciutte e poco a poco mi rilasso, mi scaldo e mi viene sonno!!! No non va bene cosi, sono le quattro e mezza del mattino, non si dorme ma si pedala! Meno male che il gallo dei contadini li vicino mi viene in aiuto tant’è che tutto ad un tratto si mette a cantare nonostante sia notte fonda, diluvi di brutto ed il sole sia in vacanza alle Barbados.
Dai Kathy che si riparte. Un the caldo dai ragazzi allo stand e via in sella a Valchiria per un altra lotta nel fango.
Ed è lotta davvero stavolta, fango ovunque ed in alcuni tratti si scivola, l’acqua non viene drenata dal terreno e sono talmente vaste le pozzanghere che puoi fare ciò che vuoi ma devi entrarci per passare oltre; ho fango sul viso, tra i denti e su per il naso, non capisco piu dove finisce il pantaloncino e dove iniziano le mie gambe ma tengo duro e via un giro dopo l’altro ed il cielo si schiarisce poco alla volta ed alzo il viso per far si che la pioggia mi lavi via un po’ di fango.
E qua la domanda di molti è: perché lo fai?
Il cosa mi spinga o ci spinga a fare questo non lo so, so solo che spesso, in queste “battaglie” contro gli elementi, la pioggia ed il fango, trovo il tempo per combattere altre battaglie, per sconfiggere altri demoni e paure e mi sento BENE ed ho sempre una gran voglia di ridere quando rivedo le foto, di come sono conciata all’arrivo di qualche gara, altro che Signora in tacchi a spillo e rossetto, sembro la reclame di una guerra di fango che però vinco!!!
Alle 8 del mattino la direzione di gara decide che per le condizioni pessime del tempo e del terreno, la gara viene interrotta e la classifica stilata in base ai risultati conseguiti sino a quell’ora.
Cerchiamo di lavare via il fango da noi stessi e dalle bike (prima loro), riesco a rendermi presentabile con tanto di gonna, maglietta e rossetto… siamo donne no? E che diamine ci spetta di diritto il farci belle!!
Iniziamo a smontare tutto, tenda e picchetti e poi ci avviciniamo al tendone ristoro per qualche cosa di caldo e le premiazioni.
La squadra che vince è la squadra dei vigili del fuoco che il prossimo mese andra ai campionati a Cuneo se non sbaglio… bravi ragazzi, tutti bravi.
Alla fine tocca anche a me.
Sono abituata ad avere spesso la maglia nera della mia squadra e se non me la danno mi arrabbio pure ma stavolta sono in cima: un trofeo per essere l’unica donna che ha finito la gara, un altro ancora per essere una lady categoria Extreme ed uno stupendo cesto con ogni ben di Dio dentro.
La mia foto ricordo e la promessa di tornate il prossimo anno magari con altri compagni di squadra a rifare una gara che mi è piaciuta, tempo a parte!!!
Ma al tempo, all’età ed alle donne non si comanda.

Kathy Pitton

lunedì 12 maggio 2008

Una Conca d’Oro un po’ ammaccata.

Torno in Val Sabbia con la mia mtb dopo quasi un anno e combino un mezzo disastro! Probabilmente doveva andare cosi, ma va bene lo stesso.
Era un sacco di tempo che pensavo di fare questa gara, ne avevo letto sulle riviste di Mountain bike e sul web, mi attirava questa sfida alle porte di casa; un sacco di km da gennaio ad ora, 10 gare nel carnet personale e per prepararmi meglio i consigli di amici ciclisti più esperti…
Ci sono arrivata preparata, non sono un razzo in salita e conosco i miei limiti pertanto sono partita consapevole di dover faticare ed anche se ho la bike nuova, la mia Valchiria, le gambe sono sempre le mie vecchie gambe ed io sono sempre la vecchia Kathy.
Ma stavolta ci vorrà un po’ di tempo per riprendersi, dovrò leccarmi le ferite per qualche giorno.
Ormai siamo come il Trio Lescano del secolo scorso, Dado e Zambo mi fanno da spalle e via che si parte alle sette del mattino per Odolo.
Arriviamo presto, Mauro conosce tutte le scorciatoie, parcheggiamo tra altri furgoni, il colore di sempre ci avvolge ed è un piacere ascoltare i mille dialetti italici e le lingue straniere di quanti, come noi, passano i loro giorni di festa pedalando.
Ci sono tutti i campioni oggi, una griglia d’onore con nomi famosi, quelli che la bike la “usano” per lavorare.
Qualche volta li invidio per il tempo che possono dedicare allo sport che amo cosi tanto, ma forse mi diverto più io che pedalo solo per passione, dovendo rubare tempo al sonno ed alla mia famiglia per allenarmi.
Dai che si parte, ho il 1511 di pettorale.
Zambo parte alle 10 con la marathon, Dado ed io alle 11 per la classic, un percorso meno lungo e massacrante ma tosto da matti ugualmente.
Via e si inizia subito a salire ma scorre veloce sia la strada sotto le ruote che il tempo e ben presto si incrocia il percorso della marathon ed iniziano a passare alcuni che mi conoscono e mi incitano…Dai non mollare!!!
Mai si molla, assolutamente, devo essere proprio ko per fermarmi.
Il 20 km segnerà la fine della mia gara con gli altri e l’inizio della mia gara personale.
Discesa in single track, veloce e tecnica. Ci ho messo anni ad imparare a scendere senza danno da quei sentieri ed ora volo sulle ruote, impari sulla tua pelle come si fanno le curve, come si salta e come si schiva… ma se lungo il percorso salgono due ragazzini in bici per emulare i grandi che vedono in gara e te li trovi davanti all’improvviso, hai pochissimo secondi per decidere: o addosso a loro o a lato.
Sarà l’istinto materno, sarà quel non so che ma ho deciso di gettarmi a lato e mi si è capovolto il mondo. Sono rimasta senza fiato per la botta alle costole e velocemente mi sono arrivate alla mente le immagini di me stessa alla Gimondi del 2004, caduta nel canalone all’inizio della gara e fine della stessa dopo 4 ore di fatica pura con le costole rotte e non ti dico le botte varie.
Tagli, escoriazioni e quel dolore sordo che non passava ed uno dei due ragazzino che mi chiede con uno sguardo terrorizzato se stò bene.
Non sono riuscita a rispondere.
Dieci minuti ferma per poi decidere di ripartire; qualche biker mi ha chiesto se tutto era ok, facevo un cenno con la testa ma credo fosse più per rassicurare me stessa che loro.
Alla fine della discesa ho cercato qualcuno dell’organizzazione ma non ho trovato nessuno ed ho continuato.
Quando alla fine ho visto qualcuno dell’assistenza mi sono sentita dire che non avevano il servizio scopa e dovevo tornare in bike comunque all’arrivo, di tagliare il percorso ed andare ad Odolo.
Non avevo neppure idea di dove ero, come si fa a tagliare un percorso se non sai dove diavolo sei?
Ed allora mi aspettate all’arrivo, perché io arrivo.
Ho usato l’acqua della borraccia per lavarmi le ferite, ho fatto la salita del Bertone a piedi, sono arrivata in cima piangendo dal male, ho mandato un messaggio ai ragazzi dicendo loro che ero caduta e che ci avrei messo due ore in più del preventivato ad arrivare, di portare pazienza… li ho fatti aspettare e mi dispiaceva da matti, ho fatto far tardi a tutti ma non l’ho fatto apposta.
Avevo pensato di fare la gara in tre ore e mezza, l’ho fatta in cinque e sono arrivata conciata da cani ma sono ARRIVATA UGUALMENTE!!!!
Facendo la doccia mi sono resa conto delle botte ma passeranno come sempre.
L’ironia della cosa è che nel pacco gara c’e una bellissima maglia tecnica nera, il colore dell’ultimo arrivato: stavolta me l’hanno data in anticipo.
Ci ho fatto sopra una risata.
Un piatto di pasta e via che si torna a casa, oggi è la festa della mamma ed Elsa mi aspetta per festeggiare.
Avrò tempo per leccarmi le ferite e guariranno come sempre perché ho ancora un sacco di chilometri da fare, perché voglio salutare i miei amici biker in giro per l’Italia, perché il mondo su due route è appagante.

Kathy Pitton