La nuova squadra

La nuova squadra

Atletica Franciacorta

Atletica Franciacorta


Il mio credo in queste parole

Il mio credo in queste parole


Il vero leone lo vedi solo fuori dal branco.
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco ed i puntini sulle i piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza pers eguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire dai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualche cosa che conosce. Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo maggiore del solo respirare. solamente l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendita felicità.

(P.Neruda)

RICORDATI DI OSARE, SEMPRE!!!!


lunedì 25 giugno 2012

Edolo-Iseo via Concarena


Eppoi sono sempre io quella che progetta cose strane.
Stavolta è stato Dado a pensarla, ad informarsi sugli orari del treno e sull’eventuale itinerario. Si perché stavolta siamo partiti in treno da Iseo alle 9 e mezza del mattino, abbiamo caricato le nostre cavalline a bordo con tanto di biglietto di supplemento e gli sfottò degli amici capotreno e capo stazione che ci hanno dato dei matti scatenati come al solito.
Perché una la studio io ed una la studia lui, tre le pensiamo mentre pedaliamo ed un paio le sogniamo di notte.
Comunque eccoci in viaggio, parliamo per un ora e mezza, tanto è il tempo che ci mette il treno ad arrivare in alta valle, guardiamo dal finestrino e, come al solito, ci prendiamo in giro ma stavolta ho un arma in più, la strana voce di dado visto che lo hanno operato alla gola poco tempo fa e parla con raschietto ….tutto strano insomma.
Arrivati ad Edolo decidiamo di cercare l’ufficio turistico per una cartina che non troviamo, deviamo verso la piazza e un bar per un panino con coca cola, giusto per un carico di zuccheri e carboidrati prima della lunga galoppata fino a casa.
La piazza è caoticamente percorsa da macchine e camion, tutti in fila lentamente, sembra che sia il risultato di un incidente poco più a monte e tutto questo rumore stride con la calma che solitamente cerchiamo in giro in bike.
Dopo il caffè via che si parte evitando l’ingorgo e tagliando per il parco, si sbuca poco più a valle ma finalmente il traffico scorre.
È forse l’unica parte del “viaggio” che non mi piace, strada asfaltata fino a Capo di Ponte ma d'altronde non conosciamo i sentieri qua attorno e senza una cartina è un po’ un azzardo girare a vuoto per cui via di pedale con una media altissima e si scende tra traffico pesante e non ma ben presto saremo alla deviazione per la ciclabile e l’Antica Via Valeriana.
Non sapevo che arrivasse fin quassù, credevo finisse a Pisogne o poco oltre ed è in fondo una piacevole sorpresa.

Inizia la lunga salita sulle strade lastricate di antiche pietre sulla quale camminavano i viandanti provenienti dalla città, loro viaggiavano per espiare colpe e peccati, noi viaggiamo per il piacere della scoperta ed ogni angolo di paese vediamo diventa una scoperta, antichi cortili, piccoli borghi quasi dimenticati e lasciati come vennero costruiti centinaia di anni fa, strade tanto strette che mi permettono di avere una mano sul davanzale di una cucina e l’altra nella camera da letto del dirimpettaio, io e la bike rappresentiamo tutto lo spazio possibile….
Bellissimi questi piccoli paesi di cui ho sentito spesso il nome ma che mai avevo visitato, Cemmo, Losine, Cerveno, Ceto…. Oppure vi ero passata ma sulla strada principale, mai all’interno del centro storico che trasuda storia antica da ogni pietra e da ogni fontanella.
E saranno queste fontane a scandire questa caldissima giornata, perché ad ognuna abbiamo attinto acqua per le borracce ed abbiamo immerso le mani per rinfrescarci; ne abbiamo viste veramente a decine.
Una salita dietro l’altra, alcune mi mettevano a dura prova tanto da farmi mettere i piedi a terra e continuare spingendo la bike, altre riuscivo a terminarle col cuore in gola e le gocce di sudore che bruciavano gli occhi ed il viso scottato dal sole.
Ma arrivati in cima, a pochi metri dalla Concarena tanto amata dagli antichi Camuni e dove cosi spesso negli anni sono venuta a “festeggiare” l’equinozio, guardando verso il basso e la strada, vedendo le macchine grandi come zollette di zucchero e con gli occhi che potevano spaziare sulla valle intera ho pensato “ne è valsa la pena”.
Uno spettacolo unico, le montagne attorno, le piane di un verde brillante, le cascine disseminate lungo le vallette e le conche interne disseminate di angoli all’ombra con sottili strati di neve rimasti dallo scorso inverno, una natura rigogliosa e pura che mi ha fatto dimenticare la fatica, il caldo, il sole che bruciava la pelle delle spalle e del viso e la sete che sembrava non passare mai nonostante le borracce bevute.
Inizia la lunga discesa verso valle e Breno seguendo a tratti il fiume Oglio, sterrato per la maggior parte passando per la via Crucis di Cervino dove per un attimo perdiamo le indicazioni e non volendo seguire la strada asfaltata, chiediamo informazioni al primo ciclista che passa…..
E qua inizio a ridere!
Allora tra me e Dado parliamo 8 lingue giusto?
Ed a chi andiamo a chiedere informazioni?
All’unico, dico unico ciclista sordo muto della Valle Canonica!!!!!!!!
Che è stato squisito e gentilissimo ed a segni ci ha indicato la strada ma mettetevi al mio posto ed immaginate Dado che cercava di capire ed all’inizio non aveva colto il fatto……….
Da scompisciarsi dalle risate!!!!!
Pausa caffé e pipì e via che si riparte.
A Breno faremo una piccola deviazione per salutare un caro amico, Roger, che da qualche anno sta lottando con una brutta bestia che non lo lascia in pace…. Lo abbraccio stretto ogni volta passo da qua e cerco di infondergli un poco della mia forza…..
Borracce piene e si riparte.
Hanno deviato la ciclabile all’interno del Tempio di Minerva in Spinera ed è bello il nuovo tratto, meno duro del precedente e ti regala una bella vista sulle rovine storiche; da li si raggiunge il famoso tunnel scavato nella roccia viva e dove le temperature raggiungono cifre quasi da inverno inoltrato tanto che all’interno, sui cavi della luce si deposita la brina… un piacevole intermezzo dopo ore al caldo torrido di questa giornata che segna i 38 gradi.
Il parco del Barberino, il fiume che scorre li accanto, una pedalata dietro l’altra ed il tempo scorre veloce ed i chilometri si accumulano sotto le ruote.
Ad un certo punto mi accorgo che ogni tre o quattro pedalate perdo un giro, una pedalata a vuoto.. che strana sensazione… resto indietro e man mano ci avviciniamo a Darfo la cosa peggiora sempre di più.
Ad un certo punto iniziano a non entrare più i cambi e resto con il padelline, spingi e spingi e la fatica è tanta dopo cosi tanti chilometri.
Piano piano arriviamo a Pisogne, deviamo per Costa Volpino per la pausa gelato e mentre siamo seduto alla gelateria mi ricordo che poco più avanti c’è il negozio di Cicli Bettoni.. due pedalate e sono li.
Mi guardano la bici, spiego il problema ed al momento mi dicono: non è una gran bella cosa sai….. mi sono preoccupata non poco, tanto che avevo già detto a Dado che saremmo rientrati verso Iseo in battello ma le magiche mani del tecnico hanno risolto il problema: una mollettina sottile come un ricciolo di capello all’interno della ruota si era rotta e non faceva agganciare la cricca…. O una roba cosi insomma, mezz’ora e la mia bike era di nuovo perfetta.
E si riparte, Lovere, Castro, Riva di Solto, Tavernola….. altra pausa caffé ed acqua, siamo un poco cotti.
Uno squillo del telefono avvisa Dado che Alberto ci viene incontro da Sarnico per fare gli ultimi chilometri assieme ed eccolo spuntare con il sorriso che lo distingue sempre.
Gli ultimi chilometri scorrono piano sotto le ruote, sono stanca ed il caldo torrido di questa giornata non ha certo aiutato, per di più ho le braccia viola dal sole… eppure la crema l’ho messa ma cosi tante ore di esposizione certo non sono il massimo per una pelle chiara come la mia.
Pazienza, ci saranno chili di dopo sole ad aspettarmi nei prossimi giorni.
Ecco Clusane e poco dopo il bivio per Cremignane e casa mia.
Non vedo l’ora di fare una doccia tiepida e di stendermi un attimo sul divano, sono proprio cotta stavolta….ma prima di lasciar andare Dado ed Alberto abbiamo parlato di una cartina che ho a casa, con i sentieri che vanno al Passo Crocedomini….. tra qualche giorno magari…..

mercoledì 20 giugno 2012

Coypus Cup- Mezane di Calvisano

Xc di pianura, spacca gambe e spacca balle.. quanto meno per me!
Non so perchè ma è una delle poche gare che non mi è piaciuta... bah sto invecchiando, sono diventata selettiva, ipercritica ed antipatica.

X Trofeo el Rocol-Cazzago San Martino

Quasi quasi mi dimenticavo di aver fatto questa gara... meno male che ho le foto .......

venerdì 15 giugno 2012

Il disastro di Moglia




Dopo aver stipato per una settimana materiale di vario genere in salotto, ci mettiamo quasi due ore a caricare il camper per la seconda spedizione in Emila.
Mai avrei pensato che la generosità dei miei compaesani arrivasse a cosi tanto, mi sono ritrovata a gestire 13 quintali di materiali quali coperte, trapunte, lenzuola, sacchi a pelo, vestiti e giochi per bambini, pampers, tende da campeggio ed il farci stare tutto sul camper in un viaggio solo si è rivelato impossibile per cui eccomi in partenza per Ostiglia stavolta, dopo aver passato la scorsa settimana 4 giorni a Pegognaga.
Mi accompagna Lorena, si è presa due giorni di ferie per questo “viaggio” che tutto è meno che avventuroso e si parte alle 18 dopo essere corsa a casa dal lavoro, un cambio d’abito veloce, scarpe da ginnastica ai piedi ed un caffè caldo per allontanare stanchezza ed un po’ di fame.
Il cartellone attaccato sul retro con scritto “materiale pro terremoto” ed il logo del G.C.Iseo l’ho messo con l’intenzione di far capire ai bisonti della strada che se vado piano è perché sono solo un pochino sovraccarica ed il frenare è un poco difficoltoso per cui mi scuseranno se in autostrada farò solamente i 70 lm/h.
Via che si parte ed è proprio in quel momento che mi arriva un messaggio che avvisa di dirigersi verso Moglia perché hanno più bisogno di aiuto.
Lungo la strada chiacchiere a gogò ed è bello essere i compagnia stavolta, il tempo scorre e la musica fa da sottofondo, e me ne infischio dello strombazzare di alcuni camionisti che vorrebbero andassi a 120 all’ora, sorpassate pure, no problem gente!
Un bip bip attira la mia attenzione ed abbassando il volume della radio ascolto il messaggio che il navigatore mi manda, ovvero che l’autostrada A22 Brennero all’uscita di Pegognaga è interrotta per un incidente e che ci sono 5 chilometri di coda per cui, ragionandoci un po’, decido di uscire a Sommacampagna e continuare via strada normale,
tutto sommato non è male, traffico poco, qualche deviazione per evitare il centro di qualche piccolo paesino, poco più avanti cartelli per deviazioni obbligatorie a seguito del terremoto ma poco alla volta mi avvicino a Moglia.
Ed eccolo in cartello che indica il paese ma i miei occhi hanno già registrato la desolazione di case crollate, cascine distrutte, tende ovunque e persone radunate in piccoli gruppi, seduti lungo le strade o in luoghi aperti come ad aspettare un'altra scossa ed un altro crollo.
Il campo sfollati lo si vede da lontano, decine e decine di tende blu e verdi della protezione civile, quelle grandi bianche della Regione e quelle rosse dei vigili del fuoco sembrano colorare quel campo che trasuda tristezza; una tenda porta lo stemma del comune, un'altra quella della caserma dei carabinieri, un'altra ancora è la sede della scuola e comincio a rendermi conto che il paese è tutto li, trasferito gioco forza fuori dal centro perché il centro stesso non è più agibile e non esiste più.
Chiedo informazioni sul dove scaricare e mi portano ai magazzini centrali dove viene ammassata tutta la roba che verrà distribuita il giorno seguente alle famiglie, ci mettiamo un ora in tre a scaricare tutto….. e mentre lavoriamo il Pezza ( signor Antonio al secolo), ci racconta il suo terremoto, l’aver perso casa ed officina, il non avere più nulla se non quello che ha addosso ma ritiene di essere fortunato perché ha ancora le mani ed una gran voglia di lavorare.
Non posso non ammirare il suo coraggio.
Torniamo al campo e ci invitano ad entrare nell’ufficio che si occupa dello smistamento materiali dove lasciamo le generalità e chiediamo cosa possiamo fare per il giorno dopo, vogliamo dare una mano a questa gente e ci accolgono a braccia aperte, vuoi per la specializzazione medica di Lory o per la mia disponibilità a fare qualunque cosa serva.
Nel frattempo è un susseguirsi di richiami, squilli di telefono, persone che corrono, pianti, e la stessa responsabile che ci confessa di essere al campo da 15 giorni dimenticandosi di famiglia, figli adulti.. e si sente in colpa ma troppo è il caos generato da questo evento naturale e troppo è il bisogno di mani che lavorano.
Torniamo al camper e decido di parcheggiare in un grande piazzale dove già si trovano altri mezzi, lontano da tetti che possono crollare e pali della luce… non si sa mai.

Due passi alla ricerca di un posto dove addentare un panino e, cosi facendo, ci avviciniamo a quello che una volta era il centro del paese…….
Sono senza parole, sembra di vedere uno di quei film di guerra, macerie ovunque, transenne dove si trovano pareti pericolanti, lo sfacelo della chiesa e lo sguardo perso della gente che vaga tra le strade scavalcando massi e cemento, cercando forse in quel disastro la propria identità, la via dove vivevano o semplicemente, un pezzo della loro vita.
Solo una luce accesa al centro della piazza, un bar aperto che sembra irreale in mezzo a tutto quel disastro e le persone sedute sotto la pianta che parlano sottovoce come se avessero paura di risvegliare quel demone che scuote la terra e distrugge la loro esistenza.
Gentili fino all’impossibile, credo capiscano che siamo li per dare una mano e come per incanto ci troviamo sedute a parlare con loro, un piatto con del pane rimediato e del formaggio, due birre senza bicchiere perché sarebbe un lusso trovarli e passiamo due ore a parlare con loro, con la signora che gestisce il bar ( o quello che ne resta) ma capisci la loro voglia di rivalsa, di ripartire e va bene anche un tavolo sotto la pianta in mezzo alla piazza, due sedie spaiate ed una panca di legno ma loro ci sono e vogliono essere li perché li è la loro vita.
Ho sempre creduto di essere una specie di roccia sulla quale passava tutto ma mi sono ritrovata con il magone dentro perché tutto questo non è paragonabile a quello che ho vissuto la settimana scorsa, non che a Pegognaga fosse migliore, non mi permetterei mai, ma forse perché vivendo solo all’interno del campo non ho “vissuto e sentito” quello che la gente del posto sentiva a sua volta, le case che ho visto erano lesionate ma molte di loro erano utilizzabili mentre qua non esiste più nulla o quasi.
Lentamente nella notte siamo tornate al camper ed entrambe avevamo ben poca voglia di parlare; poco dopo eravamo a letto, ognuna con i propri pensieri e con i propri demoni.
Ho faticato a dormire ed alle 4 del mattino ci ha pensato la terra tremante a svegliarmi, sbattendomi qua e la e quel rumore sordo che non dimentichi e sembra un urlo scaturito dalla profondità del terreno… paura, tanta.
E nonostante fossimo in un luogo dove nulla poteva crollarci addosso le urla della gente si sono fatte largo nella notte, gli allarmi delle macchine saltavano e laceravano l’aria rendendo tutto ancora più caotico e la paura è rimasta sospesa nell’aria rendendola densa e difficile da respirare.
Anche quando tutto è tornato alla normalita’ sembrava che la paura avesse creato una specie di limbo dove vagare, senza soluzione, senza fine ed il dormiveglia che ne è seguito mi ha portato alle sette del mattino, stanchissima e con ancora il lavoro vero da iniziare.
E si cerca di non pensare, fai colazione chiacchierando del più e del meno ma l’istinto ti fa guardare il piccolo pupazzo appeso per vedere se dondola oppure no, bevi un caffè di fretta e cerchi di non pensare al tremore delle tue mani, sei pronta per uscire ed ogni mezzo serve a non pensare alla scossa della notte precedente.
Ci presentiamo al campo e ci dirottano verso la zona “bambini” dove daremo una mano ai ragazzi dell’animazione.
Alcuni sono già presenti, altri arriveranno nel corso della mattinata, molti piccoli e tra di loro uno in particolare mi ha colpito, il piccolo Luca, due occhi sbarrati e tristi su di un viso dolce da matti, aggrappato, come se da questo dipendesse la sua vita, alle spalle del padre che cerca di convincerlo a staccarsi ed a scendere…
Sarà una lunga battaglia, tra pianti ed urla, ma alla fine resta con me, piangendo disperato e nascondendo il viso sulla mia spalla. Ogni suo singhiozzo mi ha colpito nell’anima perché ognuno era un grido di paura verso quella terra che tremava, verso quel qualcosa che non capiva e non poteva controllare, la stessa cosa che gli ha fatto crollare la casa e che gli aveva tolto le sue cose, i giochi e, principalmente, la sicurezza.
Poco alla volta sono riuscita a farlo disegnare ma la sua tristezza era immensa e mi ha coinvolta profondamente.
Anche quando, finalmente, mi ha regalato un sorriso, sentivo dentro di me la sua paura accentuata forse dalla simulazione di terremoto voluta dalla Protezione Civile a tutti i costi…. sebbene fossimo in mezzo ad un campo con nulla sulla testa.
Poco alla volta è arrivata l’ora di pranzo ed i piccoli sono tornati a casa mentre noi siamo state invitate a pranzo dai Vigili del Fuoco, ragazzi a cui andrebbe dedicato un monumento nazionale per la loro opera in zona terremotata.
Gli stessi vigili che nel pomeriggio dovranno abbattere la torre campanaria della chiesa, unica superstite nel centro del paese.
Tra qualche risata e due chiacchiere è passata un ora mentre in cielo si formavano enormi nuvole nere che nulla di buono presagivano e ben presto Giove Pluvio ha scaricato grandine ed acqua come se quella terra non fosse già abbastanza martoriata.
Il pomeriggio passa e decidiamo di partire verso Novi, vorrei salutare Alberto che li abita….o meglio abitava, ora è in una tenda come moltissimi altri visto che la sua casa ed il suo bar sono crollati l’una sull’altro.
Lo chiamo, mi da le indicazioni e partiamo.
Molte sono le strade interrotte e per fare sei chilometri ne faccio venti circa ma presto sono a Novi e lo chiamo, sarà lui a raggiungerci in macchina…..
E cosi ci si abbraccia, si parla un po’, ci si abbraccia di nuovo e le lacrime scorrono sul viso di entrambi ma non servono le parole, lui sa che gli sono vicina e che potrà contare su di me se dovesse aver bisogno.
Gli amici sono anche questo, non serve essere vicini fisicamente, il cuore lo è sempre.
Quando ripartiamo passiamo sulla strada piu facile per raggiungere l’autostrada, cosi facendo passo davanti ad uno dei tanti caseifici devastati e dalla strada si vedono le centinaia di forme di Parmigiano impilate tutte sghembe tra le pareti semi crollate, un pugno nello stomaco!!! Le comprerei tutte se potessi ma a prezzo pieno però…….
Il viaggio verso casa avrà ancora una piccola e veloce deviazione a Pegognaga, dove mi fermo per un attimo a salutare i ragazzi del campo sfollati dove sono stata la settimana scorsa e li trovo bene, poco alla volta il loro campo si sta svuotando ed è untene.
Una breve deviazione per le vie del paese per far vedere a Lorena com’è, un gelato in compagnia e si torna verso il camper e l’autostrada per tornare a casa senza deviazioni stavolta.
Chissà come mai il viaggio di rientro sarà piuttosto silenzioso per entrambe, ognuna persa nei propri pensieri o negli incubi.
A casa tutto torna alla normalità ma nella sera mi trovo a ripensare al visetto di Luca, alla sua paura e disperazione, agli occhi di quanti hanno perso tutto ma nonostante ciò lottano per la loro terra con ferrea determinazione e con un orgoglio che altro non fa che accrescere la mia stima per questa gente eccezionale.
Perché ne sono certa, si rialzeranno alla grande, urlando al mondo ed al resto d’Italia il loro orgoglio di Emiliani e Lombardi e sono orgogliosa di averli come amici e di aver fatto, seppur poco, qualcosa per dar loro una mano.

domenica 10 giugno 2012

Terremoto in Emilia

La vaga sensazione di dondolare sul soppalco ed un secondo solo per capire che non è solo un sogno ma realtà ed i sensi si allertano, la paura mi secca la saliva in bocca, il battito accelera e sento ogni singola vibrazione della pelle, la mente corre lontano a 35 anni fa, alle urla di terrore che rimbombavano nelle orecchie, alla folle corsa verso un qualunque punto che non si muovesse, che non sobbalzasse….
E mi ritrovo sulle scale di casa con il piumone in braccio, le chiavi del camper ed apro la porta uscendo di corsa in pigiama con la voce di mia figlia che mi dice” è tutto finito mamma!... ma non riesco a pensare se non a quei giorni di ragazza, alla casa dei nonni rasa al suolo da un nemico invisibile ma spietato come il terremoto, al pianto dei bambini ed al terrore puro negli occhi della gente friulana.





 
Sembra solo ieri ed era il 1976.
Al mattino la rincorsa ai messaggi su Facebook, sapere che gli amici stanno bene ma che la terra continua a tremare, che torri antiche e palazzi crollati feriscono il cuore della gente e che, purtroppo, ci sono dei morti.
Non so in verità perché è scattata questa molla nella mia testa, la voglia di fare qualche cosa che andasse al di là del sms solidale che non so mai se arriva o no ed io seguo il cuore più del cervello ed ecco che, il giovedì mattina, scrivo un post sulla mia bacheca, uno su Twitter, un altro ancora su di un foglio di carta che distribuisco nella mia via ed inizia questa cosa che non so come definire, una corsa al portarmi materiali che posso portare giu col camper, un aiuto vero e concreto per chi ha perso casa e lavoro ed ora ha solo una tenda sulla testa.
In 72 ore ho ricevuto 13 quintali di materiale vario, coperte, trapunte, lenzuola, sacchi a pelo, abiti per bambini, ombrelli……una marea di roba che ho stipato in casa fino a non riuscire più ad entrare.
Ho riempito il camper talmente tanto, da pavimento a soffitto, da lasciar solo lo spazio nella postazione guida, testando i freni per vedere quanto mi serve per fermare questo bestione con 700 kg in piu del dovuto, due tute e due maglie di ricambio ed eccomi in viaggio….
Ma prima ho passato il tempo a telefonare a destra ed a manca alla Protezione Civile fino a trovare chi mi indirizzasse verso la destinazione giusta che sarà il campo sfollati di Pegognaga.
Quante volte ho fatto questa strada per arrivare alla Aironbike di Guastalla o la Fosbike di Carpi, il ponte sul grande Po e le cascine la sotto ma stavolta è diverso.
Alcuni tetti di quelle stesse cascine sono crollati, le strade sono transennate perché troppo pericoloso passarvi, le fettucce che di solito delimitano i campi gara ora segnano percorsi obbligati all’interno dei paesi e stavolta non vi è quel colore dato dalle maglie dei ciclisti ma la tristezza di combattere contro un nemico invisibile e vigliacco che colpisce a tradimento, senza preavviso, lasciando dietro di se solo paura e non gioia.
Poco alla volta arrivo a Pegognaga incassando non poche strombazzate dai camion che mi seguivano visto la mia andatura da lumaca, esco dall’autostrada ed il paese è li, poco dopo il ponte e ciò che vedo è strano all’inizio, cioè tutto normale… o meglio cosi sembra ma avvicinandomi comincio a vedere le strade sbarrate dalle transenne, le fettucce tirate all’imbocco di alcune vie, poca gente attorno come se il tempo si fosse fermato.
Chiedo ad un signore fermo accanto alla strada dove è la tendopoli e mi indica la strada sbarrata poco più avanti, aggiro le transenne ed ecco l’ingresso del campo di calcio comunale presidiato dalla protezione civile in uniforme.
Mi avvicino e parcheggio e chiedo del responsabile e scopro che avevano avvisato del mio arrivo, mi fanno entrare all’interno del campo dove parcheggio e mi si avvicina il “capo campo”, il signor Giuseppe a cui dico quello che ho portato….. “ sei arrivata giusto in tempo…”
Aveva piovuto tutto il giorno e la gente nelle tende aveva freddo per cui le mie coperte e trapunte, cosi strane all’inizio di giugno, sono apprezzate e gradite dai più…..
E qua inizia una parte che non mi piace, cioè il vedere gente che si accaparra coperte come se dovesse venderle fin quando non do fuori di matto, chiudo le porte del camper e non do più nulla a nessuno!!!!!
E che cavolo.
Ed allora mi raggiunge il capo della Protezione civile…… qualche volta penso che la divisa dia alla testa a qualcuno, con tutto il rispetto per i più ma sto tipo qua proprio non mi va giù; il fatto poi che si metta a darmi ordini come se io facessi parte di un qualche reggimento poi…
I ragazzi volontari del campo mi invitano alla loro tavola per cena, chido loro cosa c’è da fare domattina e vedo la meraviglia nei loro occhi, “…ma ti fermi”?
Certo che mi fermo, fino a giovedì sera per cui quattro giorni.
Alle 11 me ne vado a letto, tra una scossetta e l’altra, ed è una sensazione strana, come se stessi cadendo……ma alle 4 di notte sento armeggiare alla porta del camper e dopo un mio urlo intimidatorio chiedo chi è….
In poche parole trovo fuori dalla porta uno della Procivil che mi chiede una coperta perché ha freddo.
Ma cribbio santo hai mica visto che ora è?????????????????????????????
Mattino presto, la sveglia suona e si inizia una lunga tre giorni di lavoro, lavare pomodori, tagliare verdure, preparare i piatti per 200 pasti alla volta, riempire le grosse celle frigorifere con l’acqua in bottiglia portata dai camion, le casse di versure da sistemare, le decine di chili di pasta da versare nelle vasche d’acciaio e consegnare alla ditta che cuoce, la frutta da preparare, le scorte da controllare e tra una cosa e l’altra far camice agli extra comunitari che le regole ci sono in un campo sfollati e non si può fare come cavolo si vuole, che gli orari dei pasti sono affissi e che non sono a casa loro per poter comandare il pranzo o la cena all’ora che fa loro più comodo.
Ma quello che più mi ha ferita ne profondo è veder gettare il cibo, lo sguardo di presa in giro quando ti dannavi l’anima per far tutto in poco tempo cercando di rispettare idee e religioni diverse e non veder dalla parte opposta un ben che minimo sguardo di intesa o una mano d’aiuto.
Questo mi ha ferita.
Ma il dolore più grande è stato vedere giovani coppie con due figli piccoli dormire in macchina e presentarsi al campo solo per lavare i bambini, non chiedendo nulla di più se non un po’ di calore; neppure a pranzo si fermavano perché, detto da uno di loro..: ho perso la casa ma il lavoro l’ho ancora per cui posso comprarmi il prosciutto da solo….
E poco dopo discutere con un altro che vuole la coca cola o la fanta e non l’acqua ed allora non ci ho più visto e gli ho detto di uscire dal campo ed andare al supermercato a comprarsela la coca cola….
I quattro giorni sono volati via, tra stanchezza e sfinimento, tra lo sguardo impaurito di qualche bambino ed il sorriso sdentato di un anziano che regala uno spiraglio di sole a me ed agli altri volontari; stoccare i vestiti dividendoli tra tipologie in scatoloni diversi, distribuire i giocattoli tra i bambini o i lecca lecca vedendoli sorridere, raccontare loro una storia e cercare di essere serena anche quando la terra continua a tremare sotto i piedi o quando, alle 4 di notte, la scossa sarà cosi forte da farmi cadere dal letto.
Oppure prendere mezz’ora di pausa, seduta fuori dalla cucina di campo e chiacchierare con il vice sindaco, Stefano, parlando dei danni strutturali alle scuole ed il suo dubbio sul cosa fare, sul come iniziare a lavorare, tra beni culturali che vorrebbero conservare e buon senso che dice di buttar giù tutto e ricominciare.
Ed ascoltarlo mentre mi racconta di quando, tre anni prima, aveva imposto al consiglio comunale di adottare le normative anti - sismiche e sentirsi deridere e sbeffeggiare come matto per il fatto che li di terremoti non ne sarebbero venuti mai…..
Ed ancora discutere con l’Asl che ci imponeva la cuffia sui capelli mentre le tubature delle foglie, esplose, riversavano il contenuto sulla strada al di la del muro o vedere gente che, pagata per assistere le persone, se ne stava tranquillamente seduta a leggere il giornale mentre i volontari, tutti, si dannavano per far funzionare anche quello che era impossibile far funzionare.
Questo terremoto mi ha lasciato dei segni, non fisici ma morali.
Riconosco la grandiosa dignità della gente emiliana che, tutta assieme, si sta muovendo per tornate alla normalita.
Guardo ammutolita le persone che già stanno approfittando della situazione augurando loro ogni possibile accidente esistente ed ancora da inventare o scoprire.
Abbraccio con il cuore in mano i ragazzi che ho conosciuto in questi giorni, tutte quelle persone che, con me, hanno cercato di far vivere il campo sfollati come se fosse una piccola cittadina senza problemi.
Io sono dovuta tornare a casa, da mia figlia ed al mio lavoro ma loro sono ancora la, con le maniche arrotolate, la schiena curva e tanta voglia di fare e sono sicura che faranno, tanto.
Con il pensiero sono ancora la con loro e le foto resteranno per ricordare i loro volti, facendomi compagnia.