Una la penso tre le faccio ed intanto ne stò studiando altre sette o otto.
Che volessi fare meno gare questa stagione era chiaro, che non riesca a rinunciare alla mia mtb d’accordo ma che mi cacci sempre in situazioni poco ortodosse è il colmo.
Credo che stavolta Dado si sia stufato alla grande con me, dalle sette del mattino alle nove di sera, un disastro di giornata che basta.
Cominciamo dall’inizio.
Decidiamo di andare in Valle Canonica e di arrivare a Ponte di legno e seguire uno dei percorsi da mtb indicati dalla cartina dell’Adamello Bike Arena, il Camos n. 7 per la precisione, anche sein verità il fatto che venga indicato come “nero” mi preoccupa non poco.
Dobbiamo arrivare al Rifugio Bozzi e da lassù scendere alla Tonalina per il sentiero del Cai n. 2, pietraia all’inizio e sentiero poi, per terminare con una strada militare fino a valle.
1300 metri di dislivello in poco più di 13 km, una bella arrampicata, altro che!
Comunque via che si parte, ho due giorni di riposo di seguito per cui, male che vada, riposo domani tutto il giorno.
Alle nove siamo a Ponte di legno, parcheggiamo vicino alla pista di pattinaggio, caffé e brioche e siamo pressoché pronti alla partenza.
La cartina la studiamo bene mentre sgranocchiamo il dolce, la strada è ben impressa nella mente e via in sella con lo zaino in spalla.
Mi porto sempre un cambio a manica lunga, si sa mai, ed il minimo indispensabile per un eventuale guasto meccanico base, tipo forature etc., una bottiglietta d’olio per catena ed un fast in piu oltre che ad una camera d’aria ed alla pompa; Dado ride ma ognuno ha le proprie manie.
Preferisco riportarmi a casa tutto che aver bisogno e non poter riparare una semplice foratura.
Si sale lungo la strada per Pezzo, un paesino talmente arroccato che trovare un metro quadro in piano è praticamente impossibile.
Asfalto all’inizio su per una ripidissima salita, sterrato poco dopo per tre tornanti da cui si vede la strada che sale al Passo del Gavia ed i molti ciclisti su strada che lo stanno affrontando; ecco che si esce sulla strada stretta che porta in paese, si sale con una pendenza media del 12% e, quando la strada diventa di ciottoli la pendenza sembra farsi ancora più importante, io scendo dalla bicicletta mentre Dado riesce a stare insella fino alla chiesa e mi aspetta.
Vedo una fontana e decido di riempire la borraccia in vista delle salite che ci saranno tra non molto; è una strana abitudine che ho preso anni fa quando, in una gita al limite delle mie risorse, rimasi senza liquidi e scoprii cosi che la disidratazione fa più danni della stanchezza.Borraccia piena e si sale per un ultimo pezzo; arriviamo di fronte ad una croce che ha appeso degli strani simboli: tre dadi, una mano e dei fiori.
Ovviamente la foto di Dado sotto i dadi è d’obbligo.
Da li si segue un lungo sentiero con le indicazioni per case di Viso, uno stupendo sentiero in erba che passa a lato di un torrente, passiamo sopra un ponte per accedere alla parte opposta della valle e si continua a salire lungo una strada sterrata.
Siamo a lato di un pascolo dove una piccola mandria di mucche pascola tranquilla con i campanacci al collo…. Tutte tranne una, più lontana dalle altre, visibilmente in difficoltà… zoppica con la zampa posteriore destra, sembra ferita… chissà cosa le è successo!
Al lupo al lupo……oppure un orso… o semplicemente una zoppia dovuta ad una caduta che ne so.. sta di fatto che lo dico al malghese poco più avanti e mi ringrazia.
Si continua ed ecco Case di Viso.
È bellissimo questo paesino, sembra di essere fermi al secolo passato se non fosse per le macchine che vanno su e giù e sollevano un polverone dell’accidenti… ma in montagna non ci si viene a piedi? Noooooooooo tutti col Suv cribbio.
Ed avanti ed indietro come se da questo dipendesse la sopravvivenza della specie umana.
Bah.
Arrivati davanti al rifugio ci fermiamo, caffé e brioche per Dado, panino e coca cola per me.
E prima di ripartire bottiglietta di grappa ai mirtilli da tenere nello zaino per la Sindrome del San Bernardo, si sa mai che succede lassù.
Si riparte verso la lunga salita fino al parcheggio delle auto che segnala fine della strada percorribile con i motori, da li in poi avanti a forza umana e null’altro, salvo emergenze.
Riempio di nuovo la borraccia alla fontana ed iniziamo a salire verso il rifugio Bozzi ed il Montozzo.
Per un po’ vado ma poi, non ne capisco mai il motivo, mi viene un attacco di paura e cominciano i guai.
Ormai convivo con le vertigini da tempo ma, come già detto, ultimamente sembra che il problema si sia accentuato notevolmente e non so più che pesci pigliare. Cosi, di punto in bianco, basta guardare una discesa un pò più scoscesa delle altre e mi ritrovo ad avere il fiato corto ed il cuore che scoppia.
Mi trasformo in una donna dalle gambe di gelatina, panico assoluto… dura qualche minuto, devo proprio mettercela tutta per riprendere a respirare normalmente ma costa fatica, tanta fatica resto stravolta da una stanchezza interiore che mi sega le gambe.
E cosi è stato.
Non sono più riuscita a salire in sella fino in cima, ho spinto la bici per gli ultimi tre chilometri, scivolando sugli attacchi metallici delle scarpe da ciclista, faticando da matti.
Dado ha cercato in ogni modo di consolarmi e di aiutarmi nei momenti peggiori, arrivando fino al punto di chiedermi se volevo tornare giù, dandomi pezzetti di cioccolata e facendomi parlare per non farmi pensare ma non è servito a molto purtroppo.
Abbiamo incontrato un sacco di gente che scendeva dal rifugio verso valle e tra di loro Nadia Tosi con cui mi sono fermata a chiacchierare per un attimo.
Da li in poi sono riuscita risalire in sella, forse perché effettivamente avevo pensato ad altro e sono arrivata ai piedi del Rifugio.
Dado era già la ad aspettarmi.
Faceva freddo o almeno cosi sembrava a me, ma credo che fosse solo il vento che asciugava il sudore che impregnava la mia maglia; un cambio veloce e maglia a manica lunga, si mangia di fuori, il panorama lo merita assolutamente.
Il Montozzo da un lato, le vecchie trincee della guerra bianca degli alpini dall’altro, il sentiero che sale verso il Passo dei Contrabbandieri…..che bello lassù!
Un piatto di asta al pomodoro per me, pasta alla lepre per l’omone, pane morbido e caffè.
E naturalmente la maglia ricordo del rifugio da portare a casa.
Ed ora si decide da dove scendere a valle.
Io sono sinceramente cotta ma Dado insiste sul sentiero del Cai ed io cedo alle sue richieste con un certo timore.. che purtroppo avrei dovuto ascoltare.
La descrizione del percorso da un km circa di pietraia, quattro km di single track e strada militare come parte finale….
Il chilometro nella pietraia segna Dado che fa un volo dell’accidenti, i quattro chilometri di single track segnano me con le crisi di panico ed un paio di voli da brivido;
riempio la borraccia ad ogni ruscello, sento la pelle tirare sotto i raggi cocenti del sole ed il viso arrossato del mio compagno di viaggio danno l’idea di come debba essere anche il mio… pazienza. La crema solare si è sciolta da tempo ormai e la discesa è lenta.
Troppo lenta.
Quando arriviamo sui prati a strapiombo su Ponte di Legno sono stracotta, parlo a vanvera ed ondeggio, credo di essere disidratata e per quanto ad ogni ruscello io beva, non riesco più ad integrare.
Poi naturalmente ci si mette anche l’avventatezza data dal pensare una cosa e farne un'altra per cui cerco di tagliare il percorso per non farmi attendere troppo e finisco diritta nella buca di una tana di marmotte che sento fischiare da un bel po!Eh cavolo che botta però.
Finalmente il tetto di una casa in lontananza, se c’è una casa ci sarà sicuramente una strada e se c’è una strada si scende più velocemente; il problema però è che le mie gambe hanno deciso che basta! Stop! Non se ne parla! E resto piantata li a mezza costa, non vado ne avanti ne indietro, le anche bloccate, le ginocchia doloranti e le gambe che non vanno da nessuna parte.
Ad un certo punto incrocio una jeep e mi fanno una battuta…..ero talmente sconvolta che non sono riuscita a chiedere un passaggio fino a valle, non riuscivo a parlare.
Dado va avanti ed indietro, cerca di confortarmi e per la prima volta nella mia lunga vita in sella ho pensato di chiedere aiuto, venite a prendermi altrimenti non vado più a casa.
Finalmente sono riuscita a salire in sella, a scendere per qualche chilometro ed arrivare in un posto che i era vagamente famigliare: la casa della maestra Rosy!
Anni fa, quando mia figlia era alle elementari, fu invitata da una sua insegnante qua in valle come ospite a casa sua, una vecchia cascina ristrutturata; io venni da Iseo fin quassù in bike e tornai a casa per un totale di 214 km tra andata e ritorno.
Ora sono una vecchia polenta che non riesce a scendere a valle da un sentiero troppo esposto.
Che rabbia.
Sto decisamente invecchiando cavolo, devo iniziare a scendere a patti con la realtà.
Da li un tecnico sentiero mi porta giù fino alla strada fatta alla partenza, quella che porta al Passo del Gavia e da li in paese fino al parcheggio.
Sono talmente stanca che anche solo togliere le scarpe e cambiare la maglia sembra un impresa titanica.
Un a rapida sosta al bar per una piadina ed un paio di litri d’acqua per poi ripartire verso casa; avevamo pensato di essere ad Iseo verso le 16, ci arriveremo verso le 21.
Mia figlia è arrabbiatissima ed ha ragione, non avevo avvisato del ritardo, la porto alla festa da una compagna di studi e torno a casa per una lunga doccia. Non ho un pezzo di corpo che non faccia male, le botte si sentono e la schiena sembra spezzarsi ogni qual volta faccia un movimento brusco.
Posso dire di aver decisamente mal valutato sia la difficoltà che il dislivello di quanto fatto oggi e di aver pagato molto caramente questa leggerezza.
Sono passati tre giorni e la schiena è ancora dolorante, solo oggi ho riconquistato un’idratazione ottimale ed inizio a star bene….ed il mio amico-compagno pedalatore mi ha “ordinato” una settimana di riposo.
Magari una settimana no ma 3 o 4 giorni di sicuro.. poi vediamo ok?
Poi chissà dove andrò la prossima volta….