La nuova squadra

La nuova squadra

Atletica Franciacorta

Atletica Franciacorta


Il mio credo in queste parole

Il mio credo in queste parole


Il vero leone lo vedi solo fuori dal branco.
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco ed i puntini sulle i piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza pers eguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire dai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualche cosa che conosce. Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo maggiore del solo respirare. solamente l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendita felicità.

(P.Neruda)

RICORDATI DI OSARE, SEMPRE!!!!


giovedì 25 agosto 2011

Il sentiero del Camos – Cai n.2 dell’Adamello


Una la penso tre le faccio ed intanto ne stò studiando altre sette o otto.
Che volessi fare meno gare questa stagione era chiaro, che non riesca a rinunciare alla mia mtb d’accordo ma che mi cacci sempre in situazioni poco ortodosse è il colmo.
Credo che stavolta Dado si sia stufato alla grande con me, dalle sette del mattino alle nove di sera, un disastro di giornata che basta.
Cominciamo dall’inizio.
Decidiamo di andare in Valle Canonica e di arrivare a Ponte di legno e seguire uno dei percorsi da mtb indicati dalla cartina dell’Adamello Bike Arena, il Camos n. 7 per la precisione, anche sein verità il fatto che venga indicato come “nero” mi preoccupa non poco.
Dobbiamo arrivare al Rifugio Bozzi e da lassù scendere alla Tonalina per il sentiero del Cai n. 2, pietraia all’inizio e sentiero poi, per terminare con una strada militare fino a valle.
1300 metri di dislivello in poco più di 13 km, una bella arrampicata, altro che!
Comunque via che si parte, ho due giorni di riposo di seguito per cui, male che vada, riposo domani tutto il giorno.
Alle nove siamo a Ponte di legno, parcheggiamo vicino alla pista di pattinaggio, caffé e brioche e siamo pressoché pronti alla partenza.
La cartina la studiamo bene mentre sgranocchiamo il dolce, la strada è ben impressa nella mente e via in sella con lo zaino in spalla.
Mi porto sempre un cambio a manica lunga, si sa mai, ed il minimo indispensabile per un eventuale guasto meccanico base, tipo forature etc., una bottiglietta d’olio per catena ed un fast in piu oltre che ad una camera d’aria ed alla pompa; Dado ride ma ognuno ha le proprie manie.
Preferisco riportarmi a casa tutto che aver bisogno e non poter riparare una semplice foratura.
Si sale lungo la strada per Pezzo, un paesino talmente arroccato che trovare un metro quadro in piano è praticamente impossibile.
Asfalto all’inizio su per una ripidissima salita, sterrato poco dopo per tre tornanti da cui si vede la strada che sale al Passo del Gavia ed i molti ciclisti su strada che lo stanno affrontando; ecco che si esce sulla strada stretta che porta in paese, si sale con una pendenza media del 12% e, quando la strada diventa di ciottoli la pendenza sembra farsi ancora più importante, io scendo dalla bicicletta mentre Dado riesce a stare insella fino alla chiesa e mi aspetta.
Vedo una fontana e decido di riempire la borraccia in vista delle salite che ci saranno tra non molto; è una strana abitudine che ho preso anni fa quando, in una gita al limite delle mie risorse, rimasi senza liquidi e scoprii cosi che la disidratazione fa più danni della stanchezza.
Borraccia piena e si sale per un ultimo pezzo; arriviamo di fronte ad una croce che ha appeso degli strani simboli: tre dadi, una mano e dei fiori.
Ovviamente la foto di Dado sotto i dadi è d’obbligo.
Da li si segue un lungo sentiero con le indicazioni per case di Viso, uno stupendo sentiero in erba che passa a lato di un torrente, passiamo sopra un ponte per accedere alla parte opposta della valle e si continua a salire lungo una strada sterrata.
Siamo a lato di un pascolo dove una piccola mandria di mucche pascola tranquilla con i campanacci al collo…. Tutte tranne una, più lontana dalle altre, visibilmente in difficoltà… zoppica con la zampa posteriore destra, sembra ferita… chissà cosa le è successo!
Al lupo al lupo……oppure un orso… o semplicemente una zoppia dovuta ad una caduta che ne so.. sta di fatto che lo dico al malghese poco più avanti e mi ringrazia.
Si continua ed ecco Case di Viso.
È bellissimo questo paesino, sembra di essere fermi al secolo passato se non fosse per le macchine che vanno su e giù e sollevano un polverone dell’accidenti… ma in montagna non ci si viene a piedi? Noooooooooo tutti col Suv cribbio.
Ed avanti ed indietro come se da questo dipendesse la sopravvivenza della specie umana.
Bah.
Arrivati davanti al rifugio ci fermiamo, caffé e brioche per Dado, panino e coca cola per me.
E prima di ripartire bottiglietta di grappa ai mirtilli da tenere nello zaino per la Sindrome del San Bernardo, si sa mai che succede lassù.
Si riparte verso la lunga salita fino al parcheggio delle auto che segnala fine della strada percorribile con i motori, da li in poi avanti a forza umana e null’altro, salvo emergenze.
Riempio di nuovo la borraccia alla fontana ed iniziamo a salire verso il rifugio Bozzi ed il Montozzo.
Per un po’ vado ma poi, non ne capisco mai il motivo, mi viene un attacco di paura e cominciano i guai.
Ormai convivo con le vertigini da tempo ma, come già detto, ultimamente sembra che il problema si sia accentuato notevolmente e non so più che pesci pigliare. Cosi, di punto in bianco, basta guardare una discesa un pò più scoscesa delle altre e mi ritrovo ad avere il fiato corto ed il cuore che scoppia.
Mi trasformo in una donna dalle gambe di gelatina, panico assoluto… dura qualche minuto, devo proprio mettercela tutta per riprendere a respirare normalmente ma costa fatica, tanta fatica resto stravolta da una stanchezza interiore che mi sega le gambe.
E cosi è stato.
Non sono più riuscita a salire in sella fino in cima, ho spinto la bici per gli ultimi tre chilometri, scivolando sugli attacchi metallici delle scarpe da ciclista, faticando da matti.
Dado ha cercato in ogni modo di consolarmi e di aiutarmi nei momenti peggiori, arrivando fino al punto di chiedermi se volevo tornare giù, dandomi pezzetti di cioccolata e facendomi parlare per non farmi pensare ma non è servito a molto purtroppo.
Abbiamo incontrato un sacco di gente che scendeva dal rifugio verso valle e tra di loro Nadia Tosi con cui mi sono fermata a chiacchierare per un attimo.
Da li in poi sono riuscita risalire in sella, forse perché effettivamente avevo pensato ad altro e sono arrivata ai piedi del Rifugio.
Dado era già la ad aspettarmi.
Faceva freddo o almeno cosi sembrava a me, ma credo che fosse solo il vento che asciugava il sudore che impregnava la mia maglia; un cambio veloce e maglia a manica lunga, si mangia di fuori, il panorama lo merita assolutamente.
Il Montozzo da un lato, le vecchie trincee della guerra bianca degli alpini dall’altro, il sentiero che sale verso il Passo dei Contrabbandieri…..che bello lassù!
Un piatto di asta al pomodoro per me, pasta alla lepre per l’omone, pane morbido e caffè.
E naturalmente la maglia ricordo del rifugio da portare a casa.
Ed ora si decide da dove scendere a valle.
Io sono sinceramente cotta ma Dado insiste sul sentiero del Cai ed io cedo alle sue richieste con un certo timore.. che purtroppo avrei dovuto ascoltare.
La descrizione del percorso da un km circa di pietraia, quattro km di single track e strada militare come parte finale….
Il chilometro nella pietraia segna Dado che fa un volo dell’accidenti, i quattro chilometri di single track segnano me con le crisi di panico ed un paio di voli da brivido;
riempio la borraccia ad ogni ruscello, sento la pelle tirare sotto i raggi cocenti del sole ed il viso arrossato del mio compagno di viaggio danno l’idea di come debba essere anche il mio… pazienza. La crema solare si è sciolta da tempo ormai e la discesa è lenta.
Troppo lenta.
Quando arriviamo sui prati a strapiombo su Ponte di Legno sono stracotta, parlo a vanvera ed ondeggio, credo di essere disidratata e per quanto ad ogni ruscello io beva, non riesco più ad integrare.
Poi naturalmente ci si mette anche l’avventatezza data dal pensare una cosa e farne un'altra per cui cerco di tagliare il percorso per non farmi attendere troppo e finisco diritta nella buca di una tana di marmotte che sento fischiare da un bel po!
Eh cavolo che botta però.
Finalmente il tetto di una casa in lontananza, se c’è una casa ci sarà sicuramente una strada e se c’è una strada si scende più velocemente; il problema però è che le mie gambe hanno deciso che basta! Stop! Non se ne parla! E resto piantata li a mezza costa, non vado ne avanti ne indietro, le anche bloccate, le ginocchia doloranti e le gambe che non vanno da nessuna parte.
Ad un certo punto incrocio una jeep e mi fanno una battuta…..ero talmente sconvolta che non sono riuscita a chiedere un passaggio fino a valle, non riuscivo a parlare.
Dado va avanti ed indietro, cerca di confortarmi e per la prima volta nella mia lunga vita in sella ho pensato di chiedere aiuto, venite a prendermi altrimenti non vado più a casa.
Finalmente sono riuscita a salire in sella, a scendere per qualche chilometro ed arrivare in un posto che i era vagamente famigliare: la casa della maestra Rosy!
Anni fa, quando mia figlia era alle elementari, fu invitata da una sua insegnante qua in valle come ospite a casa sua, una vecchia cascina ristrutturata; io venni da Iseo fin quassù in bike e tornai a casa per un totale di 214 km tra andata e ritorno.
Ora sono una vecchia polenta che non riesce a scendere a valle da un sentiero troppo esposto.
Che rabbia.
Sto decisamente invecchiando cavolo, devo iniziare a scendere a patti con la realtà.
Da li un tecnico sentiero mi porta giù fino alla strada fatta alla partenza, quella che porta al Passo del Gavia e da li in paese fino al parcheggio.
Sono talmente stanca che anche solo togliere le scarpe e cambiare la maglia sembra un impresa titanica.
Un a rapida sosta al bar per una piadina ed un paio di litri d’acqua per poi ripartire verso casa; avevamo pensato di essere ad Iseo verso le 16, ci arriveremo verso le 21.
Mia figlia è arrabbiatissima ed ha ragione, non avevo avvisato del ritardo, la porto alla festa da una compagna di studi e torno a casa per una lunga doccia. Non ho un pezzo di corpo che non faccia male, le botte si sentono e la schiena sembra spezzarsi ogni qual volta faccia un movimento brusco.
Posso dire di aver decisamente mal valutato sia la difficoltà che il dislivello di quanto fatto oggi e di aver pagato molto caramente questa leggerezza.
Sono passati tre giorni e la schiena è ancora dolorante, solo oggi ho riconquistato un’idratazione ottimale ed inizio a star bene….ed il mio amico-compagno pedalatore mi ha “ordinato” una settimana di riposo.
Magari una settimana no ma 3 o 4 giorni di sicuro.. poi vediamo ok?

Poi chissà dove andrò la prossima volta….

domenica 21 agosto 2011

Jungle raid lungo l'Oglio

Domenica mattina al lavoro, un caldo che sembra sciogliere l'asfalto ma all'una e mezza stacco e via a casa.
Una fame da lupo ma mi sbrano solo mezzo melone bianco, preparo la borraccia ed alle 16, puntuale come un orologio svizzero ecco che Dado suona al campanello.. e via che si parte!
Ciclabile dell'Oglio fino a Palazzolo, deviazione lungo la spiaggia dove tutti son stesi al sole e noi a far lo slalom in mezzo ai bagnanti... alcuni fanno i tuffi vestiti!
Bah de gustibus... alla fine della spiaggia un terrapieno, due scalette e la bike a spalla e via lungo un sentierino alla cui destra scorre l'Oglio ed a sinistra uno dei tanti canali della zona.
A volte ci sono le vasche di chiusa con le cascate, insomma un sentiero tecnico su di una culma tipo U rovesciata con radici e sassi, se non stai all'occhio cadi nel fiume e di la nel canale ma almeno non ci si fa male a cadere nell'acqua..anzi con sto caldo!
Pero' siamo all'ombra, nessun insetto, acqua corrente e cascate rinfrescano e dopo quasi 40 minuti sbuchiamo in una radura dove decine di persone fanno picnic stese al sole o sotto le piante.
Che bello!
Cocacola e panino al bar e ritorno via ciclabile ufficiale senza deviazioni stavolta, 43 km in due ore e mezza di una caldissima domenica di fine agosto.
E davanti ad una pizza come cena si decide cosa fare martedi.... hehehe! Altra storia.

domenica 14 agosto 2011

50 candele, 50 berette, 50 anni.....

Visto che sono diventata ufficialmente una vecchia signora stamattina alle sei sono partita in bici, mi sono fatta due volte la Gimondi bassa ed una volta la vignalonga edizione uno e fa niente se ieri sera, in un uscita per colline franciacortine, mi è venuto un attacco di auto commiserazione piagnucolosa, le rughe non le ho ( il cicio le riempie), sto abbastanza bene a parte quando cado dai ponti e mi riempio di botte che sembro tritata da un tir, i capelli bianchi li nascondono quelli biondi per cui fanculo la carta d'identità!
Sono ancora innamorata di millesettecentoquarentanove robe, musica, tacchi a spilli, harley davidson, libri, tramonti etc. etc, farei carte false per un patato che non posso avere per cui avanti cosi Kathy, chi mi ama mi segua, chi mi odia giri la testa di lato quando passo, chi mi vuol bene  per mille motivi mi faccia un sorriso e non mi neghi un abbraccio quando ho le paturnie.

venerdì 12 agosto 2011

Sei Passi e la sindrome del San Bernardo!



Bella storia anzi no, bella pedalata altro chè!
Il tutto è cominciato quando, tempo fa, mi arriva in biglietteria Iveta, bellissima ciclista/ciaspolatrice che lavora all’Esselunga vicina a casa che mi porta in regalo una guida di percorsi in Mtb in giro per l’Italia.
Sfogliandola trovo il percorso fatto circa un mese fa fino alle fonti dell’Adda nel parco dello Stelvio in compagnia di Dado ed Alberto; da quel giorno ci siamo ritrovati più volte a pensare a come organizzare una due giorni a zonzo per questi sentieri e prova e riprova sono riuscita ad avere due giorni di riposo di seguito in turno per cui, calendario alla mano, ci siamo organizzati questa piccola vacanza pedalata.
Coinvolti Dante come autista ed Elsa come assistente, eccoci alle sei di martedì mattina in partenza alla volta del passo dell’Aprica con destinazione Bormio.
Conosciamo la cartina a memoria, abbiamo pianificato tutto il percorso e se tutto va bene in 5 ore saremo a Livigno passando per un paio di passi a 2300 metri nel Parco Nazionale dello Stelvio.
Da Bormio, dopo aver controllato bike e zaini e fatto gli scongiuri per il tempo, partiamo in salita lungo la ciclabile che porta a Premadio e da li, dopo una pausa caffé praticamente dopo 10 minuti allo stesso bar della volta scorsa, imbocchiamo la salita che porta al lago di Cancano ed alle torri di Fraele con Dado che urla “ e qua inizia l’avventura dei nostri eroi…”; ed infatti inizia la nostra lunga avventura, in salita lungo i 23 tornanti che portano fino in cima, 13 chilometri di salita che mi mettono in crisi di brutto ma non per la pendenza ma per l’esposizione dei tratti senza parapetto… soffro di vertigine da anni ma ultimamente la cosa sembra essere peggiorata di brutto ed ho pauraaaaaaaaaa cristooooooooooooo!
Piano piano salgo, cerco di stare lontana dai bordi strada e guardo le torri dal basso, Dado va avanti poi mi aspetta e poi riparte, che pazienza che deve avere con me!
Eh gli amici veri…
Da lontano vedo dei puntolini colorati sulla parete di roccia a strapiombo, sono dei ragazzi che, sulla palestra di roccia, sembrano dei ragni appesi.. mi vengono i brividi a guardarli, non riesco nemmeno ad immaginare come ci si sente lassù attaccati ad una corda.
Ci saranno 11 minuti di differenza tra la mia ascesa e quella di Dado ma più di cosi non posso fare per cui va bene lo stesso; da li in poi, fino al lago delle Scale, un susseguirsi di pedalate e chiacchiere guardando il panorama e schivando le decine di pedoni che si sono dati appuntamento quassù in questa settimana d’agosto.
Il cielo è di un azzurro terso ma il freddo è davvero intenso, meno male che mi sono infilata la giacca anti-vento, ho le braccia gelate; solamente la schiena, dove lo zaino fa attrito, è calda, il resto del corpo, gambe a parte naturalmente, è gelato!”
Arriviamo al rifugio di San Giacomo dopo aver costeggiato il lago di Cancano e parte del lago di S. Giacomo, ci fermiamo per un piatto di pasta calda ed un thè.
Siamo congelati.
Il sole va e viene continuamente e quando sparisce dietro qualche nuvola la temperatura sembra scendere di almeno 10 gradi di botto, il the è un vero toccasana.
Il rifugio è pieno di gente e siamo piazzati accanto alla porta che, aprendosi e chiudendosi in continuazione, ci fa gelare le gambe….se poi qualche signora con uno di quei cani da borsetta che sembra un topo, tutta smorfiosa perchè “ …ma qua avranno l’acqua Perrier perché io l’altra non la bevo…”si pianta sulla porta tenendola aperta allora due madonne gliele mando di sicuro!
Mancava solo avesse anche i tacchi a spillo! Si lo so che li porto anche io ma non mi pare il caso di andare in escursione in montagna con la camicia di Chanel e la borsa Luis Vuitton e le ciglia finte…..e poi sono io quella strana che va in giro in bike!
Chiediamo il conto e mi viene un attacco della famosissima Sindrome del San Bernardo: quella che ti fa pensare.. e se resto bloccata tra le montagne ed ho freddo come faccio? Una grappa o un liquorino magari aiuta… e due bottigliette da un quarto di Bombardino montanaro finiscono come per magia negli zaini, si sa mai che possano servire.
Ripartiamo alla volta del Passo di Fraele, una lunga salita nel bosco a tornanti, e tra una pianta e l’altra, quando riuscivo a sollevare lo sguardo senza fiato, vedevo dei porcini da paura… peccato non avere ne tempo ne lo spazio nello zaino…..pero sono nel Parco, credo sia illegale raccogliere qualunque cosa, comunque sia i funghi erano bellissimi.
Di tanto in tanto incontravamo altri ciclisti che scendevano dal paso, zaino in spalla e più di una volta ho rivisto le scene di qualche film, con i contrabbandieri che portavano di qua qualunque cosa, magari non in bici ma a dorso di mulo od a cavallo ma mi sa che tra un po’, con i prezzi che hanno raggiunto le sigarette in Italia, rivedremo questi personaggi valicare il confine magari proprio in bicicletta, in fin dei conti è ecologica, non fa rumore, l’unico carburante che serve è un piatto di pasta e delle gambe buone in vece del motore.
Si sale in quota e la vegetazione diventa sempre più rada, poco alla volta il terreno diventa spoglio ma lo spettacolo dei colori della montagna è unico, le sfumature che la roccia assume diventa dominante con decine e decine di grigi, marroni, bianchi…bellissimo!
Il sentiero si stringe e spesso capita di incrociare letteralmente qualche vacca al pascolo che tranquillamente sul sentiero di certo non ci lascia il passo… anzi ci guarda con quegli occhioni languidi e non sai bene cosa fare; io almeno non sapevo bene come comportarmi, se le vado addosso con la bike, capirà da sola che non sono pericolosa?
Se poi magari lasciassero qualche torta in meno in mezzo al sentiero sarebbe meglio, quanto meno per quando arriveremo a Livigno e dovrò rimettere la bike nel gavone del camper, sai che profumino altrimenti.
Ad un segnavia ci sono due ragazzi fermi che tentano di fare conversazione con Dado che, sempre avanti a me di 200/300 metri è la che gesticola e mi fa segno di raggiungerlo: tedeschi alla ricerca di non so bene quale lago e dalla nostra cartina risultano decisamente fuori strada.
Ci chiedono dove abbiamo preso la nostra di cartina, cosi ben dettagliata e quando gli diciamo che l’abbiamo presa in un bar, in regalo, restano un poco male….la loro è una guida dal nome altisonante ma molto meno chiara, di sicuro più cara, quello è certo!
Scambiamo due pezzi di cioccolata, anche quella miracolosamente apparsa negli zaini dopo la sosta al rifugio, un ciao internazionale e via che si riparte.
Qualche goccia di pioggia giusto il tempo di farci preoccupare ed ecco che esce il sole nuovamente; appare il lago Alpisella alla nostra sinistra e siamo al passo, si inizia a scendere finalmente.
Giusy, una compagna di squadra, mi aveva avvisata sul percorso scelto, dicendomi di stare attenda alla discesa al “lag del gat” ovvero sia il lago di Livigno, strada bella ma molto esposta ed in effetti è cosi, alcuni pezzi riesco a farli in sella ma poi, quando a lato vedo lo strapiombo sulla valle sottostante, decido di scendere a piedi.
Dado ne approfitta per fumare una sigaretta ogni qual volta si ferma ad aspettare e vedo che in fondo non brontola più di tanto… credo che anche per lui alcuni pezzi siano stati da brivido!
Ad un certo punto scendono dietro a noi 4 ragazzi, armati di zaini enormi, torce sulle bici, tendina.. quelli che, qualunque cosa succeda, si fermano nei boschi a dormire, attrezzati con tutto quanto serve per una notte all’addiaccio… che bella l’avventura però!
Ad un certo punto Dado, che era andato avanti un pezzo, inizia a chiamarmi ed a ridere come un matto.. al momento ho pensato che fosse caduto, che gli fosse caduta la bike di sotto che ne so… invece rideva perché non sapeva come dirmi che, dietro la curva avrei trovato il primo vero ostacolo della nostra avventura… una specie di ponte tibetano sul salto di una cascatella, assi e tronchi tenuti assieme da del fil di ferro arrugginito… mi sono venuti i capelli grigi!
E lui che rideva.
Non vi dico i numeri cinesi per passare oltre senza farmi venire un infarto fulminante.
E da li in poi il sentiero, una striscia di roccia attaccata alla scarpata con qualche ruscello che cadeva giù una volta ogni tanto, mi ha fatto venire la tremarella alle gambe, alla pancia e se non son morta di paura li non muoio più… o quasi!
Ma poi sono arrivata in fondo ed ecco che il sentiero diventa più largo, vinco la paura e salgo in sella e fedele come un destriero la mia Valchiria mi porta a valle fino al rifugio che segna la fine della discesa.
Da li si intravede il lago e poco dopo siamo sulla ciclabile che porta in centro al paese e verso la zona dei campeggi per camper dove Dante ed Elsa aspettano il nostro arrivo; sono le 16.45 ed eravamo partiti alle 11.20 da Bormio, tutto considerato non male dai.
Ci battiamo il cinque come due ragazzini, una parte della nostra “eroica impresa” è compiuta, ora possiamo rilassarci e riposare qualche ora decidendo sul cosa e come fare per il ritorno domani.
Il B & B di Dado è poco lontano, peccato che sia in cima ad una lunga salita e mi ringhia non poco quando cap9sce fin dove deve pedalare ancora prima della meritata doccia….
Tutto ripagato dalla sontuosa cena che ci regaleremo poco più tardi, pizzoccheri e cervo in umido con polenta e per chiudere in bellezza, torta di mele con la panna.
Ce lo siamo meritato!
A nanna ora ma la notte sarà un lungo girarsi e rigirarsi nel letto con la pioggia a farmi compagnia; forse sono solo troppo stanca sta di fatto che l’alba arriva e mi trova a guardar fuori dal finestrino del camper per veder fin dove la neve caduta nella notte ha coperto i prati montani… chissà se la troveremo lungo la strada del ritorno.
Alle nove, puntuale, Dado arriva al camper già pronto per la partenza ma lo sento chiacchierare e visto che siamo lontano da casa mi chiedo con chi… ed ecco che il mondo è davvero piccolo qualche volta tant’è che accanto a nostro camper stanno due ragazzi di Iseo con cui chiacchieriamo mezz’ora prima di deciderci a ripartire per la conclusione di questo lungo viaggio in sella.
Ieri sera abbiamo deciso di fare una strada alternativa evitando la lunga salita al Foscagno su asfalto e cercando di fare solo sterrati, più adatti alle nostre ruote artigliate ed ai nostri gusti: si sale al monte Mottolino fino al Bike Park con la cabinovia, delle uova bianche giganti che portano persone e bici fino a 2200 metri di altezza e da lassù continuare verso valle.
Che vista spettacolare!
Mi sono seduta su di una panchina col fondoschiena praticamente nella neve pur di guardare tutto quel ben di Dio.
Un paradiso nel vero senso della parola.
Ed ora si scende per un pezzo lungo le piste di discesa disegnate per il Bike Park, alcuni pezzi mi fanno sinceramente paura con tutti quei salti e scendo, un po’ di traverso, un po’ sul prato, a zig zag…se ho paura non so che farci ma sinceramente in alcuni punti sono terrorizzata.
Arriverò in fondo con le mani blu dal freddo e le spalle rotte dalla stanchezza, le gambe oggi non carburano giuste e sono solo all’inizio…
Al Passo Eire ci fermiamo per una ulteriore dose di caffeina e due informazioni sul sentiero migliore da fare; un barista gentile spiega a Dado come e dove girare per fare meno fatica…..secondo lui! Va beh si inizia prima a scendere verso Trepalle e poi a salire lungo la strada che porta al Foscagno, al distributore di prende un sentiero ed ecco i segnavia che ci hanno indicato la strada tutto ieri.
Si sale, tanto si sale, uno stretto sentiero che a lato ha il bosco ma, poco alla volta la pendenza aumenta ed il bosco sparisce ed arrivo in cima arrancando in sella, curva setta a destra e non vedo oltre, la prendo larga e…….ed inizia il mio incubo peggiore!
Mi trovo davanti alle ruote della bike il vuoto sulla valle sottostante.
Non so come ho fatto a girarmi, so solo che mi sono trovata aggrappata sulla roccia con le unghie che si spezzavano, il cuore in gola e il terrore puro che mi annebbiava la vista e la ragione.
Non ricordo molto di quel momento se non le parole di Dado che mi ha presa per mano e staccata dalla parete di roccia a mi ha guidata fino a dove uno slargo del sentiero mi dava la possibilità di sedere, ha portatole bike a spalla fino lassù e poi è venuto a prendermi.
Quando avevo degli sprazzi di chiaro in quel buoi assoluto dettato dalla paura mi sentivo meschina, mi vergognavo e non facevo che scusarmi ma credo che abbia capito che in quegli attimi non ero in me.
E dire che ho volato per anni in parapendio, cercando di esorcizzare questa irrazionale paura del vuoto ma non è la stessa cosa il volo libero e la sensazione di cadere da un dirupo.
Continuerò a dirlo per molto tempo, è stato un giro fantastico ma quel pezzo non lo rifarei neppure pagata per farlo!
Siamo arrivati in fondo, un altro ruscello da guadare ed un piccolo ponte in legno da passare, un attimo di riposo con un pezzo di cioccolata ed un goccio di quel Bombardino che serviva per il gelo delle montagne.. mai stata miglior medicina.
I cartelli segnavia indicano il percorso permanete della Pedaleda, una mitica gara di mtb con partenza ed arrivo a Livigno ma mi sono spesso domandata come sia possibile fare certe salite in bicicletta se si fa fatica a farle a piedi…si perché ci si è parata davanti una parete segnata da una traccia di sentiero e quelli che la facevano a piedi facevano fatica, non ti dico io come ho fatto a salire con la mia Valchiria in spalla.
Da li in poi un continuo saliscendi fino al passo Trela a 2300 metri di altezza, il fiato corto per la stanchezza sia di ieri che di oggi, per le emozioni e magari perché quassù respirare sotto sforzo è più faticoso che altrove.
Il tempo sembra scorrere al rallentatore, abbiamo fame e siamo stanchi ma si deve continuare e ben presto vediamo più gente lungo il sentiero ed ecco, finalmente, il rifugio Trela.
Tantissima gente si è radunata quassù per pranzare in quota, ci sono bambini che giocano al pallone, gente a cavallo ed altri che prendono il sole;: ci sediamo nell’erba per riposare, bere una borraccia di acqua e mangiare una barretta energetica, ci aspetta la discesa fino al lago ed anche qua io la farò a piedi tenendo stretta la mia bike come una stampella cercando di non guardare verso il basso ed il dirupo che cosi prepotentemente attira il mio sguardo e che mi spaventa.
Dado scende e mi aspetterà a valle, io vado piano fin quando non me la sentirò di saltare in sella e continuare pedalando.
C’è parecchia gente lungo la strada e tra queste una coppia che non dimenticherò facilmente: un papà con il figlio nello zainetto che urlava terrorizzato e la mamma accanto che teneva la mano del bambino.
Il padre ad urlare continuamente al figlio e la signora a cercare di calmate entrambi.
E poi vede me e credo per una forma di cortesia mi chiede come va, se sono riuscita a salire fin lassù in bici come mai non riesco a scendere ed ecco che l’orango racchiuso nel corpo del marito si ribella ed inizia a ricoprirla di insulti,.. e perché parli con gli sconosciuti, e che c***o mi frega di sapere come ha fatto a salire e tu non parli se non te lo dico io stronza….. e cosi via dicendo…
Se non gli sono volata addosso è perché avevo dei seri problemi di equilibrio altrimenti lo tritavo di botte sto cretino dall’ormone ballerino!
Ma che gente c’è in giro dico io e perché diavolo se li sposano certi elementi alcune ragazze proprio non lo capisco. Ma tirate loro in testa un ferro da stiro e bon.
Arrivo ad un certo punto e salto in sella perché mi sembrava più alla mia portata, scendo per un bel pezzo anche abbastanza allegra, da lontano vedo un passaggio pieno di pietra e passo anche quello indenne, da lontano vedo un ponte di legno con Dado sopra che mi aspetta, faccio due pedalate in più per prendere velocità visto che è in leggera salita e non so bene come mai ma mi sento catapultare il sedere verso l’alto, mollo il manubrio e mi ritrovo ad afferrare la sponda del ponte con le mani ed un secondo dopo volo giù dal ponte con la bici ancora attaccata alle scarpe!
Una legnata pazzesca alle schiena sulle rocce sottostanti e se mi chiedete come mai nons sono finita in acqua e che non lo so ma ho visto tutte le stelle del firmamento conosciuto e quelle che non hanno ancora scoperto!
Dado che corre come un matto a soccorrermi, controlla che sia tutta intera e poi scoppiamo a ridere e piangere come due scemi dell’asilo infantile.
Mamma che volo.
E meno male che le gambe le porto coperte e le spalle anche e la schiena stà ben nascosta dalla camicia, ho dei lividi da paura.
Senza contare quello sulla fronte che tengo nascosto con un ciuffo di riccioli.
Mano male che siamo in fondo e che ora è una passeggiata.
Al rifugio ci fermiamo per un panino con le ragazze che ci chiedono da quanti giorni siamo in giro, un caffé e piano piano torniamo verso le torri di Fraele e la lunga discesa a valle fino al parcheggio di Premadio dove ci aspettano.
Mentre costeggiavamo la diga tra i due laghi gemelli mi sento chiamare da un gruppo di ciclisti che ci hanno appena incrociato: è uno dei ragazzi che incontro sempre alle 24h endurance in giro per l’Italia; ci consiglia di non scendere per le torri ma per Bosco Piano…..non seguiremo il suo consiglio, siamo entrambi stanchi e decidiamo di scendere per la strada asfaltata e non per sentieri nel bosco.
Un tornante dietro l’altro, lentamente, con le spalle indolenzite e la schiena dolorante, cercando di non guardare giù ma passa in fretta ed ecco la statale ed il paesino da cui eravamo partiti due giorni fa.
Uno accanto all’altra, in silenzio, guardiamo verso l’alto e poi sorridendo una pacca sulle spalle, ce l’’abbiamo fatta.
Compagni di pedalate e d’avventura per quella che agli occhi di tanti è stata di sicuro una mezza follia ma per noi era un percorso da fare e da ricordare magari davanti ad un aperitivo al bar con gli amici o alla cena di fine anno con la squadra.
Nessun premio se non le immagini che restano nella testa e le foto fatte per ricordare quando quelle immagini inizieranno a sbiadire.
Sei passi in due giorni posso sembrare una mezza follia specialmente in mountain bike….
Ma tutto questo si chiama passione nonostante i graffi ed i lividi e la stanchezza.
Il resto è solo quotidianità, giornate sempre uguali con poche emozioni.
Io so che queste giornate, per poche che siano nell’arco di un anno, sono il sale della mia vita; la noia delle cose sempre uguali, del fare perché si deve lo lascio ad altri.
Io voglio vivere di emozioni e se queste comportano qualche graffio beh pazienza, vorrà dire che ho vissuto intensamente.

giovedì 4 agosto 2011

In notturna a trovar funghi

2 agosto, un caldo che te lo raccomando e sono qua, alle 4 del pomeriggio , ad attacar fanaleria varia alla mia mtb.
Tra le email arrivate nei giorni scorsi c’era quella di Dario Sbardo che ci invitava a questa notturna, una classica di mezza estate per noi del gruppo ruote grasse G.C.Iseo.
I ragazzi partiranno alle 17.30 da Gabry, altri davanti al negozio Fattore Ciclo di Pilzone alle 19, io è meglio che parta per affari miei altrimenti non riesco a star al loro passo e rallenterei tutti.
La cena è prenotata verso le 20.45, per cui con calma parto da casa alle 17.20 e me ne vado in paese, sosta da Gabriele per comprare le batterie della luce posteriore lampeggiante che non funziona più e via lungo la litoranea fino a Sulzano.
Sosta da Cristina per due parole ( lei oggi lavora io scorrazzo in bike), le rompo un po’ le scatole e riparto verso Sale Marasino.
Un sacco di traffico in giro, d'altronde la gente è in vacanza, ma il mio passo è tranquillo, lo zaino pesa un po’ ma non mi preoccupo più di tanto, piano piano salirò sulla montagna alle spalle del lago ed arrivo al ristorante, eccome se ci arrivo, due salamine sono prenotate a nome mio e guai a che le tocca!
Arrivo alla rotonda con le indicazioni per Località Portole ed inizio a salire.
Su asfalto, un tornante dietro l’altro, un caldo micidiale e la pendenza da matti non aiutano certo le mie gambe a pedalare ma Kathy non mola e salgo, lentamente ma salgo fino a quando un arancione con l’ormone ballerino (olandese per la precisione) decide di iniziare a suonare il clacson a manetta.
Allora cristo!, tu acceleri schiacciando con il piede una tavoletta, a me tocca pedalare e se i tornanti sono stretti e tanto in due non ci si passa, cosa diavolo suoni a fare?
Perfino due tizi a passeggio col cane gli hanno fatto dei gestacci, personalmente l’ho lavato di madonne in olandese visto che lo parlo esattamente come parlo l’italiano! E che cavolo….
En po’ de bromuro magare…..
Ad un certo punto la strada si stringe ulteriormente e sta scendendo un camioncino, preferisco fermarmi che rischiare di finire contro il muro e la scusa è buona per riprendere fiato e chiedere ad una signora seduta sul balcone se mi riempie la borraccia di acqua con la canna del giardino… all’inizio sembrava non volesse farlo….ho chiesto solo dell’acqua mica 50 euro…..alla fine d3ecide che probabilmente non sono pericolosa cosi combinata, in bicicletta e con lo zaino a spalla, sudata fradicia e riempio la borraccia di quel prezioso liquido, un poco caldo ma quando la sete è tanta va bene anche cosi.
Continuo la salita e tornante dopo tornante ecco Portole e l’olandese di prima con il cane a passeggio!
Mi ha vista arrivare ed è scappato verso un cancello, l’ha chiuso ed è fischiato dentro casa…ma te pensa, magari credeva fossi Kathy due la vendetta ma sinceramente quello che dovevo dirgli lo avevo già fatto, non mi mescolo con i cretini prima che mi contagino con la loro stupidità. Semplicemente un senza palle, macchina grossa cervello poco.
Il bello è che c’era li una signora anziana seduta lungo il muretto della strada che ha visto la scena ed ha detto: la madona siura, el gà ciapàt pora…..
Mi sono sbellicata dalle risate.
Nel piazzale di fronte alla Trattoria Portole ci sono due deviazioni, una a destra per Dazze l’altra a sinistra per la Forcella di Sale e Pastina.
Ho seguito la cementata per la Forcella che tanti ricordi porta alla memoria, i miei voli in parapendio lungo la dorsale che scende a lago, quante volte ho volato da lassù fino a bordo acqua di fronte al porto di Sale Marasino, quanti ricordi dolci ed amari, fino a quell’atterraggio controvento che mi ha lasciato una lunga cicatrice sulla schiena…quanti anni sono passati eppure la voglia di volare c’è ancora, mista ad un poco di timore ma la sensazione di onnipotenza che provavo lassù tra le nuvole era unica.
Chissà, forse un giorno ci torno a cacciare il naso tra le nuvole, per vedere se sono ancora fredde ed umide, se possono ancora darmi la sensazione di essere sospesa tra la bambagia ad un chilometro da terra.
Sono riuscita a pedalare fino alla deviazione tra Forcella e Pastina e li, troppo dura per me, ho messo i piedi a terra ed ho continuato camminando.
Un attimo dopo sento una presenza dietro a me in salita e vedo sbucare Michele Canotti, in sella che, a fatica, saliva lungo la rampa in cemento.
Si è fermato un attimo ed è ripartito, ci siamo dati appuntamento in cima.
Sono riuscita a ripartire di fronte alla sorgente Gaionvere o un nome simile dove ho pure riempito la
borraccia, non ho visto cartelli che dicevano non potabile per cui….frescaaaaaaaaaaa buonaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa.
Quasi mi ci tuffo nella vasca di raccolta.
Da li in poi, un continuo saliscendi lungo una strada di terra battuta e ciottoli, qualche strappo ancora su cemento ma poco dopo mi trovo lungo il sentiero del Cai che viene fatto dai ragazzi della Proai Golem a piedi, la Sky Marathon di quelli duri a morire, quelli che la corsa in montagna la mangiano a merenda.
Vi sono un sacco di case quassù ed il panorama è spettacolare, il lago sembra una pozzanghera piccola e lontana eppure è ad appena mezz’ora di strada un macchina, poco più in bicicletta, bellissimo quassù comunque.
Poco dopo arrivo in uno spiazzo e vedo un gruppo di tende; alcune decine di metri e le tende sono davvero tante ed i ragazzi che le abitano anche, con zaini buttali qua e la, le chitarre appoggiate…un gruppo di scout che passerà la notte in montagna mi guardano passare sorridendo, avran pensato “questa è matta”!
Arrivo finalmente a Pastina, praticamente qua la strada finisce. Mi siedo all’ombra, ordino una coccola gelata e guardo il panorama aspettando che qualcuno del gruppo si faccia vivo.
Michele si era piazzato nel prato a riposare, chiacchieriamo un pezzo di tutto e di più ed ecco che arrivano i primi del gruppo che scende dalla montagna, quelli che hanno fatto Santa Maria-Nistisino-Pastina per single track vari nel bosco.
Venti muniti dopo iniziano ad arrivare quelli partiti alle sette dal negozio di Carlo e verso le otto e mezza siamo inventi seduti al tavolo a cenare, ridere e scherzare.
Ma prima abbiamo ammirato il mega fungo trovato da Ghigo e Thony nel bosco, sette etti di bestia che passeremo alla signora del ristorante da fare in insalata.
Cena a base di tagliatelle con i funghi e maccheroncini agli asparagi, grigliatona, insalata patate e dolce il tutto condito con vino rosso, coca cola ed acqua.
E le risate, da tenersi la pancia.
Al seguito di Andrea due ragazze che ci hanno raggiunto in macchina, forse un poco spaesate all’inizio ma che credo si siano divertite da matti dopo.
Verso le dieci e mezza abbiamo iniziato a preparare uomini e mezzi per la discesa alla luce delle lampade e led sulle bike, qualcuno con dei fari giganteschi sul casco, tutti comunque con le luci segnaletiche lampeggianti, la discesa è tosta e la velocità non sarà da poco per cui occhio…
Decido di partire tra gli ultimi per non intralciare ma poi non mi sembra di andare cosi piano, anzi….
Ghigo mi fa da cavaliere e comunque alla fine di ogni tratto tecnico il gruppo si ferma ad aspettare e le ragazze dietro sono dei tesori perché con i fari della loro macchina rendono la strada più visibile.
Ad un certo punto uno dei miei due fanali si sgancia e rotola lungo la discesa, Ghigo lo prende al volo e si continua fino in fondo dove,, in un attimo lo riattacco e riparto. Strada asfaltata ora fino a Sale Marasino dove metà del gruppo girerà verso casa mentre i restati vanno verso Iseo facendo uno strano sentiero che sinceramente non riuscirei a ritrovare da sola di giorno.
Credo si tratti di alcuni pezzi della Antica Valeriana, ed intravedo dei piccoli strapiombi accanto al sentiero ma la notte aiuta a non vedere il pericolo e farò a piedi un solo pezzetto, credo 50 metri, in compagnia di altri, troppo scosceso, per il resto tutto in sella, salite comprese.
Si arriva Sulzano sbucando dietro la chiesa su di una strana acciottolata che fa saltellare qua e la e da li, sul provinciale e tutta fino ad Iseo.
Mi hanno tirato il collo da matti.
A Pilzone Ghigo è partito ed a Covelo hanno superato i 40 all’ora…io ho mollato ad un certo punto…. Mi veniva un attacco di cuore!
Giù per Via Mirolte e Piazza Garibaldi dove la gente del paese ci gridava “Siete matti”! e sosta al bar in via Campo per una birra finale come brindisi per una bella serata in compagnia.
La gente di Iseo presente ci guarda sorridendo, capisci dal loro sguardo che non capiscono la nostra passione per queste scorribande notturne in sella ma è proprio questo il bello, siamo diversi, siamo istintivi…..e ci divertiamo.
Gli ultimi 3 chilometri li faccio in solitaria verso casa, qualche stella solitaria a rischiarare la strada che passa accanto alla riserva delle torbiere ed a rendere il paesaggio notturno spettacolare.
Una doccia calda, ancora un po’ d’acqua, una carezza alla sella di Valchiria ed a nanna tutte e due, tra poche ore si torna al lavoro ma la testa macina già altri percorsi….
Forse settimana prossima..

martedì 2 agosto 2011

Val di Scalve e cascate del Vò

Che giro in giro oggi.

E dire che avrei dovuto essere a Bormio per la Granfondo della Valtellina ma, come spesso mi succede per colpa del lavoro, ho dovuto rinunciare.
Devo dire che la fortuna mi ha ampiamente consolato considerando che, nel ritirare il pacco gara, Giusy ha preso anche la busta sorpresa con una vacanza a Bormio per due persone!
E mi hanno chiamato almeno 10 persone per ribadire il concetto sul mio fondoschiena, lo sapevo anche prima di avere un gran culo……intendo grosso mica bello e va beh daiiiiiiiiiiiiiiii insomma!
Una volta che gira giusta fatemi sbollire la rabbia di non essere li a fare la gara con voi, mi consolo con una vacanzetta sui monti come Heidy.
Comunque sta di fatto che il giorno di ferie chiesto sei mesi fa mi è rimasto sul turno e dopo la serata di sabato a lavorare, decido che la domenica a casa sul divano non la passo di sicuro, due sms a Dado e via che alle otto del mattino è a casa mia a prendermi col furgone e si parte con destinazione Valle di Scalve e Via Mala.
Prima tappa dopo 6 minuti di viaggio in paese da Gabriele per un caffè ed un saluto alla truppa su ruote che li si ritrova per l’uscita in compagnia domenicale mentre in 5 sono a correre in valle mentre il settore strada si ritrova in piazza Garibaldi alle 9.
La strada lungo il lago è abbastanza tranquilla a quest’ora ed un poco più di 40 minuti ci troviamo a risalire la valle verso Angolo terme, poco dopo Boario.
Lasciamo il furgone all’ingresso della prima galleria, ci si veste e prepara, si riempiono le borracce ed eccoci pronti per l’avventura di oggi: risalire tutta la Via Mala fino a Schilpario, seguire la strada fino al Passo del Vivione, scendere lungo le piste di sci nordico della località Fondi in zona miniere, sconfinare alle cascate del Vo e tornare sani e salvi a valle senza danni.
La conosco bene questa strada, l’ho fatta tante volte ed ha un fascino tutto particolare; la valle cosi stretta che sembra una fenditura ricavata da un taglio netto nella roccia, l’acqua che scorre in fondo, gelida e spumosa che erode le rocce li accanto, il color bronzo stemperato sulle rocce che rendono, quando il sole picchia i suoi raggi sulle pareti, uno scintillio particolare ed incantato che riflette la luce come se ci fossero mille specchietti inglobati nella roccia stessa….
È veramente bello.
So che la vecchia sede stradale, quella scavata dai Romani al tempo dello sfruttamento delle miniere, esiste ancora al di fuori delle gallerie e visto che, per bene illuminate che siano non sono il massimo per i ciclisti, decidiamo di avventurarci a lato delle stesse, sperando non sia troppo accidentato e rovinato.
Scavalchiamo il guard rail e seguo un sentiero e mi trovo davanti ad uno spettacolo a dir poco spettacolare.
Qua comanda madre natura, con la sua forza a scavato profondamente questa valle con la pressione dell’acqua ed è proprio un mondo d’acqua quello in cui ci avventuriamo.
Cade dagli speroni di roccia sopra la nostra testa cadendo sul vecchio selciato e, da li, nella valle sottostante; non ho idea di quanto sia l’altezza che mi separa dal fondo valle ma è un salto da brivido ed un po’ soffro di vertigini per cui non mi avvicino più di tanto al vecchio parapetto rovinato dal tempo ed in alcuni punti crollato trascinato dalla potenza dell’acqua.
Piante ed erba sono cresciute lungo le rocce rendendo il piano percorribile molto limitato ed esposto ma è di una bellezza incommensurabile e ti vien normale chiederti con che potenza sia scesa l’acqua della diga del Gleno verso valle quando crollò nel 1923 vista la larghezza molto limitata del letto del fiume sottostante.
Le alte pareti del canyon avranno di certo fatto da “compressore” spingendo la forza catastrofica dell’acqua a velocità pazzesche.
Proseguiamo lungo il costone sporgente, in alcuni pezzi è largo quasi quanto una strada ad una corsia, in altri si riduce alla larghezza di un metro ed in sella hai una prospettiva diversa ed ho sempre la paura di cadere di sotto; farò parecchi pezzi a piedi, nell’acqua e nel fango scivoloso ma mi sento più sicura.
Incontriamo un escursionista a piedi che ci guarda sorridendo…chissà cosa avrà pensato nel vederci li ma è gentile a spiegare che poco più avanti dovremo scavalcare del lastroni di roccia e fare molta attenzione.
Ed eccoli i lastroni, scivolosi e taglienti, le bike in spalla ed avanti a piedi.
Poco dopo sbucheremo in un apertura che da direttamente sull’ultima delle tre gallerie che avremmo dovuto fare in sella; molto il traffico presente, da qua si passa per Colere ed il Passo della Presolana ed oltre alle macchine vi sono decine di ciclisti che, vedendoci sbucare praticamente dalla roccia ci chiedono “ma dove cavolo eravate”?
Nel mondo di Narnia a fare una specie di Jungle trail.
Da li in poi inizia la lunga salita che porta a Schilpario.
Dado va più veloce di me e gli dico di andare pure, io ho il mio paso e non ho intenzione di forzare, sono quasi 18 km di salita fino a dove voglia mo arrivare noi, se sforzo troppo non arrivo più per cui, piano piano mi arrampico lungo la valle, fermandomi di quanto in quanto per una fotografia. Che bello però, mi fa compagnia il rumore del torrente Povo li accanto, delle mucche al pascolo con i campanacci al collo ed il colore verde delle montagne li attorno.
Gli ultimo 4 km sono i più duri, la pendenza aumenta e fa caldo ma eccolo finalmente il cartello Schilpario ed ecco Dado seduto sul muretto all’ingresso del paese che mi aspetta.
Mi prende in giro perché mi ha “dato” 12 minuti….ma poi scopro che ha chiesto a tutti i ciclisti che salivanose avevano visto una bionda riccia con la maglia come la sua… fa il duro lui!!! Ma si preoccupa per un amica…
Arriviamo in piazza alla ricerca dell’ufficio turistico, comperale cartine con i percorsi da mtb e ci sediamo al sole per un aperitivo.
Ci sono in giro un sacco di persone e, poco dopo, escono dalla chiesa un gruppo di Alpini con tanto di fanfara e si mettono a suonare, tapum tapum tapum…
Li seguiamo fino al mulino antico in sella saltellando a ritmo di musica.

Dal mulino in poi seguiremo la strada per il passo del Vivione ma ci fermeremo prima, alla trattoria Capriolo per il pranzo.
C’è pieno di gente, tutti motociclisti ma un tavolo per due c’è e ci sediamo a leggere il menù!
Crepes alla Val di Scalve e brasato di cervo con polenta, vinello rosso della casa, caffè e limoncello…il dolce no perché ci sentivamo in colpa.
Alla faccia degli atleti!
Praticamente alle 14 eravamo ancora li a pancia all’aria a prendere il sole, le bike abbandonate li accanto appoggiate al muro di cinta del ristorante ed a guardare le moto che passavano e salivano verso il passo.
Ma ci decidiamo a partire o no?
Penso che il primo km verso la località Fondi e l’ingresso delle miniere sia stato il più faticoso che abbia mai fatto…il cervo mi girava nello stomaco e scalciava da matti! Buono lui ma decisamente non un pranzo adatto a dei ciclisti ed anche Dado era nella stessa condizione.
Poco alla volta arrivo all’ultimo tornante e vedo che le finestre delle baite sono tutte aperte, decido di controllare se vi è una persona e mi fermo; una di queste baite è quella di Roberto, un mio collega e so che sua madre ci passa ogni anno un mese…ed infatti eccola la signora Ancilla, seduta a giocare a carte con un amica.
Mi fermo un attimo a salutare, due chiacchiere e quando mi chiede se può offrirci un caffè Dado replica con un”sarebbe meglio una bombola di ossigeno”!!
Saluti e baci e si riparte, verso valle stavolta, seguendo la pista di fondo che costeggia il torrente.
Uno spettacolo di sentiero nel bosco, su e giù tra le piante, il torrentello da passare su dei ponti o da guadare in alcuni punti, bello e scorrevole ed in poco tempo ci ritroviamo al palazzo del ghiaccio di Schilpario.
Quanta strada abbiamo fatto.
Ma vogliamo fare ancora una deviazione verso le cascate del Vo, la strada che ci porta fin lassù è all’ingresso del paese dopo essere scesi lungo i tornanti ed il ponte.
Si inizia nuovamente a salire su di una strada sterrata che presto diventa dura da percorrere a causa delle grosse pietre smosse che non ci rendono di certo la vita facile in salita.
Sorrido nel sentire i commenti delle persone presenti lungo il percorso, li sento dire: “ certo che sono tedeschi, che coraggio arrivare fino a lassù in bicicletta”!.
Chissà come mai se ci sono due in bici con lo zaino a spalle e che fanno percorsi alternativi devono essere per forza tedeschi!
Dado è un Iseano purosangue, io importata dalla Svizzera d’accordo ma vivo qua da talmente tanto tempo che sono più italiana che elvetica ormai, parlom bresà anche se’n và en bici!
Che belle le cascate.
Dado ne guada un pezzo in sella, io preferisco il ponte ma come sempre vorrei una foto ma Dado, chissà come fa, tutte le volte mi fa un filmato strano e di foto neppure l’ombra.
Va beh ne farò a meno anche stavolta.
Inizia a piovere nel giro di due minuti, il repentino cambio di tempo tipico della montagna; via verso la valle con attenzione, la strada è sdrucciolevole ma comunque i 35 all’ora si fanno…..anche se Dado mi ha dato un vantaggio di qualche minuto perché credeva che andassi pianissimo!
In alcuni tratti di discesa, nella parte più stretta della Via Mala dove le rocce sono vicinissime e l’acqua cade direttamente sul piano stradale dalla montagna sovrastante, si levavano strani banchi di nebbia…certo il calore del sole durante il giorno scalda sia l’asfalto che la roccia ed ora, con la pioggia, si raffreddano emanando vapore.
Ma lo stesso vapore si leva anche dall acqua che scorre tra le rocce e che gira per qualche secondo nelle marmitte dei giganti creando dei gorghi, ed è cosi strano passare attraverso banchi di nebbia a fine luglio.
Ecco la galleria e rifacciamo al ritorno ilo stesso percorso dell’andata perché troppo suggestivo e decisamente più bello ed affascinante della nuda roccia delle gallerie… ed altre al rumore dell’acqua non ci sono macchine a farti il pelo oltre che ad assordarti le orecchie.
Stessa sensazione di prima, pericoloso ma ipnotizzante, alcune foto e poi via, di nuovo lungo l’ultimo pezzo di strada ed il parcheggio dove avevamo lasciato il furgone.
Sembra passato poco tempo invece è stata una giornata intera.
60 chilometri nelle gambe, un po’ di pioggia a rinfrescarci ed un poco di stanchezza in più oltre che alle gambe sporche di fango ma tutto questo se ne va con una doccia calda ed un po’ di riposo; il resto, le sensazioni ed i colori, mi resteranno dentro per un bel po’ come ogni volta e potrò fare a meno di guardare le fotografie perché le immagini restano stampate nella memoria.
La prossima volta voglio arrivare fino alla vecchia diga del Gleno, un amico mi ha detto che ci si può arrivare mentre all’ufficio turistico dicono di no…ma siccome l’amico è un biker come me penso proprio che farò una foto alla mia Valchiria lassù prima o poi.