La nuova squadra

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Atletica Franciacorta

Atletica Franciacorta


Il mio credo in queste parole

Il mio credo in queste parole


Il vero leone lo vedi solo fuori dal branco.
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco ed i puntini sulle i piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza pers eguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire dai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualche cosa che conosce. Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo maggiore del solo respirare. solamente l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendita felicità.

(P.Neruda)

RICORDATI DI OSARE, SEMPRE!!!!


venerdì 12 agosto 2011

Sei Passi e la sindrome del San Bernardo!



Bella storia anzi no, bella pedalata altro chè!
Il tutto è cominciato quando, tempo fa, mi arriva in biglietteria Iveta, bellissima ciclista/ciaspolatrice che lavora all’Esselunga vicina a casa che mi porta in regalo una guida di percorsi in Mtb in giro per l’Italia.
Sfogliandola trovo il percorso fatto circa un mese fa fino alle fonti dell’Adda nel parco dello Stelvio in compagnia di Dado ed Alberto; da quel giorno ci siamo ritrovati più volte a pensare a come organizzare una due giorni a zonzo per questi sentieri e prova e riprova sono riuscita ad avere due giorni di riposo di seguito in turno per cui, calendario alla mano, ci siamo organizzati questa piccola vacanza pedalata.
Coinvolti Dante come autista ed Elsa come assistente, eccoci alle sei di martedì mattina in partenza alla volta del passo dell’Aprica con destinazione Bormio.
Conosciamo la cartina a memoria, abbiamo pianificato tutto il percorso e se tutto va bene in 5 ore saremo a Livigno passando per un paio di passi a 2300 metri nel Parco Nazionale dello Stelvio.
Da Bormio, dopo aver controllato bike e zaini e fatto gli scongiuri per il tempo, partiamo in salita lungo la ciclabile che porta a Premadio e da li, dopo una pausa caffé praticamente dopo 10 minuti allo stesso bar della volta scorsa, imbocchiamo la salita che porta al lago di Cancano ed alle torri di Fraele con Dado che urla “ e qua inizia l’avventura dei nostri eroi…”; ed infatti inizia la nostra lunga avventura, in salita lungo i 23 tornanti che portano fino in cima, 13 chilometri di salita che mi mettono in crisi di brutto ma non per la pendenza ma per l’esposizione dei tratti senza parapetto… soffro di vertigine da anni ma ultimamente la cosa sembra essere peggiorata di brutto ed ho pauraaaaaaaaaa cristooooooooooooo!
Piano piano salgo, cerco di stare lontana dai bordi strada e guardo le torri dal basso, Dado va avanti poi mi aspetta e poi riparte, che pazienza che deve avere con me!
Eh gli amici veri…
Da lontano vedo dei puntolini colorati sulla parete di roccia a strapiombo, sono dei ragazzi che, sulla palestra di roccia, sembrano dei ragni appesi.. mi vengono i brividi a guardarli, non riesco nemmeno ad immaginare come ci si sente lassù attaccati ad una corda.
Ci saranno 11 minuti di differenza tra la mia ascesa e quella di Dado ma più di cosi non posso fare per cui va bene lo stesso; da li in poi, fino al lago delle Scale, un susseguirsi di pedalate e chiacchiere guardando il panorama e schivando le decine di pedoni che si sono dati appuntamento quassù in questa settimana d’agosto.
Il cielo è di un azzurro terso ma il freddo è davvero intenso, meno male che mi sono infilata la giacca anti-vento, ho le braccia gelate; solamente la schiena, dove lo zaino fa attrito, è calda, il resto del corpo, gambe a parte naturalmente, è gelato!”
Arriviamo al rifugio di San Giacomo dopo aver costeggiato il lago di Cancano e parte del lago di S. Giacomo, ci fermiamo per un piatto di pasta calda ed un thè.
Siamo congelati.
Il sole va e viene continuamente e quando sparisce dietro qualche nuvola la temperatura sembra scendere di almeno 10 gradi di botto, il the è un vero toccasana.
Il rifugio è pieno di gente e siamo piazzati accanto alla porta che, aprendosi e chiudendosi in continuazione, ci fa gelare le gambe….se poi qualche signora con uno di quei cani da borsetta che sembra un topo, tutta smorfiosa perchè “ …ma qua avranno l’acqua Perrier perché io l’altra non la bevo…”si pianta sulla porta tenendola aperta allora due madonne gliele mando di sicuro!
Mancava solo avesse anche i tacchi a spillo! Si lo so che li porto anche io ma non mi pare il caso di andare in escursione in montagna con la camicia di Chanel e la borsa Luis Vuitton e le ciglia finte…..e poi sono io quella strana che va in giro in bike!
Chiediamo il conto e mi viene un attacco della famosissima Sindrome del San Bernardo: quella che ti fa pensare.. e se resto bloccata tra le montagne ed ho freddo come faccio? Una grappa o un liquorino magari aiuta… e due bottigliette da un quarto di Bombardino montanaro finiscono come per magia negli zaini, si sa mai che possano servire.
Ripartiamo alla volta del Passo di Fraele, una lunga salita nel bosco a tornanti, e tra una pianta e l’altra, quando riuscivo a sollevare lo sguardo senza fiato, vedevo dei porcini da paura… peccato non avere ne tempo ne lo spazio nello zaino…..pero sono nel Parco, credo sia illegale raccogliere qualunque cosa, comunque sia i funghi erano bellissimi.
Di tanto in tanto incontravamo altri ciclisti che scendevano dal paso, zaino in spalla e più di una volta ho rivisto le scene di qualche film, con i contrabbandieri che portavano di qua qualunque cosa, magari non in bici ma a dorso di mulo od a cavallo ma mi sa che tra un po’, con i prezzi che hanno raggiunto le sigarette in Italia, rivedremo questi personaggi valicare il confine magari proprio in bicicletta, in fin dei conti è ecologica, non fa rumore, l’unico carburante che serve è un piatto di pasta e delle gambe buone in vece del motore.
Si sale in quota e la vegetazione diventa sempre più rada, poco alla volta il terreno diventa spoglio ma lo spettacolo dei colori della montagna è unico, le sfumature che la roccia assume diventa dominante con decine e decine di grigi, marroni, bianchi…bellissimo!
Il sentiero si stringe e spesso capita di incrociare letteralmente qualche vacca al pascolo che tranquillamente sul sentiero di certo non ci lascia il passo… anzi ci guarda con quegli occhioni languidi e non sai bene cosa fare; io almeno non sapevo bene come comportarmi, se le vado addosso con la bike, capirà da sola che non sono pericolosa?
Se poi magari lasciassero qualche torta in meno in mezzo al sentiero sarebbe meglio, quanto meno per quando arriveremo a Livigno e dovrò rimettere la bike nel gavone del camper, sai che profumino altrimenti.
Ad un segnavia ci sono due ragazzi fermi che tentano di fare conversazione con Dado che, sempre avanti a me di 200/300 metri è la che gesticola e mi fa segno di raggiungerlo: tedeschi alla ricerca di non so bene quale lago e dalla nostra cartina risultano decisamente fuori strada.
Ci chiedono dove abbiamo preso la nostra di cartina, cosi ben dettagliata e quando gli diciamo che l’abbiamo presa in un bar, in regalo, restano un poco male….la loro è una guida dal nome altisonante ma molto meno chiara, di sicuro più cara, quello è certo!
Scambiamo due pezzi di cioccolata, anche quella miracolosamente apparsa negli zaini dopo la sosta al rifugio, un ciao internazionale e via che si riparte.
Qualche goccia di pioggia giusto il tempo di farci preoccupare ed ecco che esce il sole nuovamente; appare il lago Alpisella alla nostra sinistra e siamo al passo, si inizia a scendere finalmente.
Giusy, una compagna di squadra, mi aveva avvisata sul percorso scelto, dicendomi di stare attenda alla discesa al “lag del gat” ovvero sia il lago di Livigno, strada bella ma molto esposta ed in effetti è cosi, alcuni pezzi riesco a farli in sella ma poi, quando a lato vedo lo strapiombo sulla valle sottostante, decido di scendere a piedi.
Dado ne approfitta per fumare una sigaretta ogni qual volta si ferma ad aspettare e vedo che in fondo non brontola più di tanto… credo che anche per lui alcuni pezzi siano stati da brivido!
Ad un certo punto scendono dietro a noi 4 ragazzi, armati di zaini enormi, torce sulle bici, tendina.. quelli che, qualunque cosa succeda, si fermano nei boschi a dormire, attrezzati con tutto quanto serve per una notte all’addiaccio… che bella l’avventura però!
Ad un certo punto Dado, che era andato avanti un pezzo, inizia a chiamarmi ed a ridere come un matto.. al momento ho pensato che fosse caduto, che gli fosse caduta la bike di sotto che ne so… invece rideva perché non sapeva come dirmi che, dietro la curva avrei trovato il primo vero ostacolo della nostra avventura… una specie di ponte tibetano sul salto di una cascatella, assi e tronchi tenuti assieme da del fil di ferro arrugginito… mi sono venuti i capelli grigi!
E lui che rideva.
Non vi dico i numeri cinesi per passare oltre senza farmi venire un infarto fulminante.
E da li in poi il sentiero, una striscia di roccia attaccata alla scarpata con qualche ruscello che cadeva giù una volta ogni tanto, mi ha fatto venire la tremarella alle gambe, alla pancia e se non son morta di paura li non muoio più… o quasi!
Ma poi sono arrivata in fondo ed ecco che il sentiero diventa più largo, vinco la paura e salgo in sella e fedele come un destriero la mia Valchiria mi porta a valle fino al rifugio che segna la fine della discesa.
Da li si intravede il lago e poco dopo siamo sulla ciclabile che porta in centro al paese e verso la zona dei campeggi per camper dove Dante ed Elsa aspettano il nostro arrivo; sono le 16.45 ed eravamo partiti alle 11.20 da Bormio, tutto considerato non male dai.
Ci battiamo il cinque come due ragazzini, una parte della nostra “eroica impresa” è compiuta, ora possiamo rilassarci e riposare qualche ora decidendo sul cosa e come fare per il ritorno domani.
Il B & B di Dado è poco lontano, peccato che sia in cima ad una lunga salita e mi ringhia non poco quando cap9sce fin dove deve pedalare ancora prima della meritata doccia….
Tutto ripagato dalla sontuosa cena che ci regaleremo poco più tardi, pizzoccheri e cervo in umido con polenta e per chiudere in bellezza, torta di mele con la panna.
Ce lo siamo meritato!
A nanna ora ma la notte sarà un lungo girarsi e rigirarsi nel letto con la pioggia a farmi compagnia; forse sono solo troppo stanca sta di fatto che l’alba arriva e mi trova a guardar fuori dal finestrino del camper per veder fin dove la neve caduta nella notte ha coperto i prati montani… chissà se la troveremo lungo la strada del ritorno.
Alle nove, puntuale, Dado arriva al camper già pronto per la partenza ma lo sento chiacchierare e visto che siamo lontano da casa mi chiedo con chi… ed ecco che il mondo è davvero piccolo qualche volta tant’è che accanto a nostro camper stanno due ragazzi di Iseo con cui chiacchieriamo mezz’ora prima di deciderci a ripartire per la conclusione di questo lungo viaggio in sella.
Ieri sera abbiamo deciso di fare una strada alternativa evitando la lunga salita al Foscagno su asfalto e cercando di fare solo sterrati, più adatti alle nostre ruote artigliate ed ai nostri gusti: si sale al monte Mottolino fino al Bike Park con la cabinovia, delle uova bianche giganti che portano persone e bici fino a 2200 metri di altezza e da lassù continuare verso valle.
Che vista spettacolare!
Mi sono seduta su di una panchina col fondoschiena praticamente nella neve pur di guardare tutto quel ben di Dio.
Un paradiso nel vero senso della parola.
Ed ora si scende per un pezzo lungo le piste di discesa disegnate per il Bike Park, alcuni pezzi mi fanno sinceramente paura con tutti quei salti e scendo, un po’ di traverso, un po’ sul prato, a zig zag…se ho paura non so che farci ma sinceramente in alcuni punti sono terrorizzata.
Arriverò in fondo con le mani blu dal freddo e le spalle rotte dalla stanchezza, le gambe oggi non carburano giuste e sono solo all’inizio…
Al Passo Eire ci fermiamo per una ulteriore dose di caffeina e due informazioni sul sentiero migliore da fare; un barista gentile spiega a Dado come e dove girare per fare meno fatica…..secondo lui! Va beh si inizia prima a scendere verso Trepalle e poi a salire lungo la strada che porta al Foscagno, al distributore di prende un sentiero ed ecco i segnavia che ci hanno indicato la strada tutto ieri.
Si sale, tanto si sale, uno stretto sentiero che a lato ha il bosco ma, poco alla volta la pendenza aumenta ed il bosco sparisce ed arrivo in cima arrancando in sella, curva setta a destra e non vedo oltre, la prendo larga e…….ed inizia il mio incubo peggiore!
Mi trovo davanti alle ruote della bike il vuoto sulla valle sottostante.
Non so come ho fatto a girarmi, so solo che mi sono trovata aggrappata sulla roccia con le unghie che si spezzavano, il cuore in gola e il terrore puro che mi annebbiava la vista e la ragione.
Non ricordo molto di quel momento se non le parole di Dado che mi ha presa per mano e staccata dalla parete di roccia a mi ha guidata fino a dove uno slargo del sentiero mi dava la possibilità di sedere, ha portatole bike a spalla fino lassù e poi è venuto a prendermi.
Quando avevo degli sprazzi di chiaro in quel buoi assoluto dettato dalla paura mi sentivo meschina, mi vergognavo e non facevo che scusarmi ma credo che abbia capito che in quegli attimi non ero in me.
E dire che ho volato per anni in parapendio, cercando di esorcizzare questa irrazionale paura del vuoto ma non è la stessa cosa il volo libero e la sensazione di cadere da un dirupo.
Continuerò a dirlo per molto tempo, è stato un giro fantastico ma quel pezzo non lo rifarei neppure pagata per farlo!
Siamo arrivati in fondo, un altro ruscello da guadare ed un piccolo ponte in legno da passare, un attimo di riposo con un pezzo di cioccolata ed un goccio di quel Bombardino che serviva per il gelo delle montagne.. mai stata miglior medicina.
I cartelli segnavia indicano il percorso permanete della Pedaleda, una mitica gara di mtb con partenza ed arrivo a Livigno ma mi sono spesso domandata come sia possibile fare certe salite in bicicletta se si fa fatica a farle a piedi…si perché ci si è parata davanti una parete segnata da una traccia di sentiero e quelli che la facevano a piedi facevano fatica, non ti dico io come ho fatto a salire con la mia Valchiria in spalla.
Da li in poi un continuo saliscendi fino al passo Trela a 2300 metri di altezza, il fiato corto per la stanchezza sia di ieri che di oggi, per le emozioni e magari perché quassù respirare sotto sforzo è più faticoso che altrove.
Il tempo sembra scorrere al rallentatore, abbiamo fame e siamo stanchi ma si deve continuare e ben presto vediamo più gente lungo il sentiero ed ecco, finalmente, il rifugio Trela.
Tantissima gente si è radunata quassù per pranzare in quota, ci sono bambini che giocano al pallone, gente a cavallo ed altri che prendono il sole;: ci sediamo nell’erba per riposare, bere una borraccia di acqua e mangiare una barretta energetica, ci aspetta la discesa fino al lago ed anche qua io la farò a piedi tenendo stretta la mia bike come una stampella cercando di non guardare verso il basso ed il dirupo che cosi prepotentemente attira il mio sguardo e che mi spaventa.
Dado scende e mi aspetterà a valle, io vado piano fin quando non me la sentirò di saltare in sella e continuare pedalando.
C’è parecchia gente lungo la strada e tra queste una coppia che non dimenticherò facilmente: un papà con il figlio nello zainetto che urlava terrorizzato e la mamma accanto che teneva la mano del bambino.
Il padre ad urlare continuamente al figlio e la signora a cercare di calmate entrambi.
E poi vede me e credo per una forma di cortesia mi chiede come va, se sono riuscita a salire fin lassù in bici come mai non riesco a scendere ed ecco che l’orango racchiuso nel corpo del marito si ribella ed inizia a ricoprirla di insulti,.. e perché parli con gli sconosciuti, e che c***o mi frega di sapere come ha fatto a salire e tu non parli se non te lo dico io stronza….. e cosi via dicendo…
Se non gli sono volata addosso è perché avevo dei seri problemi di equilibrio altrimenti lo tritavo di botte sto cretino dall’ormone ballerino!
Ma che gente c’è in giro dico io e perché diavolo se li sposano certi elementi alcune ragazze proprio non lo capisco. Ma tirate loro in testa un ferro da stiro e bon.
Arrivo ad un certo punto e salto in sella perché mi sembrava più alla mia portata, scendo per un bel pezzo anche abbastanza allegra, da lontano vedo un passaggio pieno di pietra e passo anche quello indenne, da lontano vedo un ponte di legno con Dado sopra che mi aspetta, faccio due pedalate in più per prendere velocità visto che è in leggera salita e non so bene come mai ma mi sento catapultare il sedere verso l’alto, mollo il manubrio e mi ritrovo ad afferrare la sponda del ponte con le mani ed un secondo dopo volo giù dal ponte con la bici ancora attaccata alle scarpe!
Una legnata pazzesca alle schiena sulle rocce sottostanti e se mi chiedete come mai nons sono finita in acqua e che non lo so ma ho visto tutte le stelle del firmamento conosciuto e quelle che non hanno ancora scoperto!
Dado che corre come un matto a soccorrermi, controlla che sia tutta intera e poi scoppiamo a ridere e piangere come due scemi dell’asilo infantile.
Mamma che volo.
E meno male che le gambe le porto coperte e le spalle anche e la schiena stà ben nascosta dalla camicia, ho dei lividi da paura.
Senza contare quello sulla fronte che tengo nascosto con un ciuffo di riccioli.
Mano male che siamo in fondo e che ora è una passeggiata.
Al rifugio ci fermiamo per un panino con le ragazze che ci chiedono da quanti giorni siamo in giro, un caffé e piano piano torniamo verso le torri di Fraele e la lunga discesa a valle fino al parcheggio di Premadio dove ci aspettano.
Mentre costeggiavamo la diga tra i due laghi gemelli mi sento chiamare da un gruppo di ciclisti che ci hanno appena incrociato: è uno dei ragazzi che incontro sempre alle 24h endurance in giro per l’Italia; ci consiglia di non scendere per le torri ma per Bosco Piano…..non seguiremo il suo consiglio, siamo entrambi stanchi e decidiamo di scendere per la strada asfaltata e non per sentieri nel bosco.
Un tornante dietro l’altro, lentamente, con le spalle indolenzite e la schiena dolorante, cercando di non guardare giù ma passa in fretta ed ecco la statale ed il paesino da cui eravamo partiti due giorni fa.
Uno accanto all’altra, in silenzio, guardiamo verso l’alto e poi sorridendo una pacca sulle spalle, ce l’’abbiamo fatta.
Compagni di pedalate e d’avventura per quella che agli occhi di tanti è stata di sicuro una mezza follia ma per noi era un percorso da fare e da ricordare magari davanti ad un aperitivo al bar con gli amici o alla cena di fine anno con la squadra.
Nessun premio se non le immagini che restano nella testa e le foto fatte per ricordare quando quelle immagini inizieranno a sbiadire.
Sei passi in due giorni posso sembrare una mezza follia specialmente in mountain bike….
Ma tutto questo si chiama passione nonostante i graffi ed i lividi e la stanchezza.
Il resto è solo quotidianità, giornate sempre uguali con poche emozioni.
Io so che queste giornate, per poche che siano nell’arco di un anno, sono il sale della mia vita; la noia delle cose sempre uguali, del fare perché si deve lo lascio ad altri.
Io voglio vivere di emozioni e se queste comportano qualche graffio beh pazienza, vorrà dire che ho vissuto intensamente.

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