
È aria spinta verso il basso, sposta i rami e le foglie e fa mulinare tutto attorno come impazzito, resta questo il ricordo più grande di questi due giorni in Veneto per la Granfondo Tre Valli.
La gara in se è un ricordo vago di fatica a dolore e quel tarlo in fondo al cervello che continua a ripetermi, come una vocina interiore, di lasciare le gare agli altri e di fare altro.
Ma il perché mi sia rimasto in mente solo l’arrivo dell’elicottero del soccorso per quella ragazza di cui ignoro il nome non mi è dato spiegarlo, so solo che ci ho pensato tutta notte e, tutta notte, ho ripensato alle discese che ho fatto a piedi perché non avevo modo di farle in sella, troppo tecniche, ed a quelle lunghissime salite che mi hanno tolto ogni piccola goccia di energia.
Ma la storia inizia il mattino prima quando, alle nove, sono partita alla volta di Tregnago e della sua gara, l’autostrada fino a Verona ed il seguire un po’ a naso ed un po’ con il navigatore le indicazioni, entrare in un piccolo paesino e trovarmi a guadare un fiumiciattolo senza acqua sonno le indicazioni di un gentilissimo signore che, vistami in crisi con il camper a far manovre per strade nate per fa passare solo carretti, mi ha dato le dritte per uscirne, attraverso il guado in secca appunto…
E dire che, sorridendo, mi ha spiegato che ogni santo giorno si trova a dare le stesse indicazioni perchè pare che i navigatori abbiano tutti in memoria quella strada e quando succede ai tir sono guai.
Vai a fidarti della tecnologia.
Avevo mandato una mail all’organizzazione per sapere dove parcheggiare il camper e mi hanno indicato il vecchio campo sportivo del paese, si trova facilmente e le indicazioni sono veramente ben distribuite ed eccomi sistemata in un enorme piazzale sterrato con altri camper già arrivati.
Alle 14 mi avvicino al centro logistico della gara, ritiro il numero ed il chip, il pacco gara con uno smaniato anti-vento e me ne torno al “campeggio”… è si, ecco cosa è diventato nel frattempo…
Saranno arrivati almeno altri 30 camper nel frattempo ed accanto al mio ho una coppia di Modena conosciuta lo scorso anno alla Conca d’Oro; due chiacchiere e passa il pomeriggio e, verso l’ora di cena, chiudo la porta al mondo fuori, accendo la tele e mi guardo Asterix ed Obelix in francese.. si perché la mia tele decide da sola in che lingua trasmettere ed ogni film è una specie di avventura linguistica…. E notare che le pubblicità sono rigorosamente in italiano….e giuro che il telecomando non lo tocco!
Mentre la sera scurisce il cielo ed alcune nuvole fanno capolino ad infastidire i pensieri per la gara di domani, continuano ad arrivare altri equipaggi e, quando me ne andrò a dormire il campo sarà stracolmo di camper e di persone, come se fossimo in vacanza in un enorme campeggio.
Il mattino arriva, grigio e fresco e mi rendo conto di avere un po’ di paura che mi prende lo stomaco, il perché non l’ho ancora capito ma questa strana sensazione mi accompagnerà fino alla fine della giornata.
Faccio colazione ma mi rendo conto che il cibo non vuole saperne di scendere nello stomaco, mi preparo e scaldo le gambe con dell’olio riscaldante, non so bene come vestirmi, fa fresco ma se mi copro troppo rischio di sudare, se sono troppo leggera potrei avere freddo ed è forse anche peggio.
Tolgo Valchiria dal gavone e mi avvio verso la partenza, rivedo Marika che accompagna il suo compagno alla gara e fa da coach, incontro Thony Viola che gira in bike cercando altri del gruppo ma quella sensazione allo stomaco non passa, paura o apprensione che sia mi preoccupa non poco.
Le donne possono scegliere in quale griglia stare e decido per la prima, mi si avvicina Carlo Manfredi Zaglio reduce dalla strepitosa gara di ieri, un breve saluto ed un bacio porta fortuna ed è ora di partire dopo le due salve di cannone.
Via lungo la strada asfaltata e su per l’inizio della lunghissima salita che porta al 12 chilometro ed al gran premio della montagna, si lascia l’asfalto ed inizia lo sterrato, e da lassu è una fotografia unica guardare il paesaggio verso il basso.
Il percorso è veramente spettacolare e nonostante abbia il fiato corto e senta il cuore esplodere, continuo a salire, so che devo arrivare in cima ed abbasso la testa e tengo duro.
Mi passano man mano i ragazzi che conosco, arrivano i compagni di squadra che corrono come cavalli di razza e mi incitano a non mollare, quando ho fiato rispondo altrimenti un sorriso è sufficiente.
La pacca sul fondo schiena di super Mario mi da la carica e continuo a salire fin quando, eccola là la discesa, quella lunga strada bianca su di cui lasciar correre le ruote, giu fino a quando non ci si trova tutti raggruppati tra bestemmie ed imprecazioni varie…un “tappo” lungo uno stretto single track in discesa e la successiva salita, si perdono almeno 20 minuti ed i ragazzi con la voglia di correre si arrabbiano, mentre per me è un attimo di riposo.
Nel pezzo in salita cerco di correre per star dietro ad un'altra ragazza e non rallentare il gruppo ma ecco che una coltellata mi attraversa il polpaccio e mi lascia senza fiato… no di nuovo il vecchio strappo che si fa sentire, più arrabbiato che mai!
Devo fermarmi, camminare non riesco e decido di sedermi e vedere che succede.
Mi sfilano tutti e quando non resta quasi più nessuno mi alzo e salgo in sella… pedalando il dolore è minore e vado avanti stringendo i denti.
Ma poi ci si ferma di nuovo e ci indicano di scendere per una scarpata, una ragazza è caduta e si è fatta male davvero tanto, sta arrivando l’eliambulanza per portarla via.
Ed è quel rumore assordante delle pale dell’elicottero ad essermi rimasto impresso, il mulinello d’aria che spostava le foglie e di rami, ed il chiedersi perché se si corre per passione e piacere di farlo si deve arrivare a rischiare la vita quando poi,il giorno dopo, si deve tornare al lavoro e lasciare quella passione attaccata al muro in garage.
Questa cosa ha lasciato un segno dentro di me.
Non so chi fosse quella ragazza ma se poco prima avevo deciso di fermarmi questo mi ha spinto ad andare avanti e di passare quel traguardo zoppicando per lei, sono caduta poco dopo ma mi sono rialzata, avevo male ovunque ma ho seguito il percorso quasi da sola oramai, ho guadato quel fiumiciattolo sbagliando strada e finendo nella parte piu profonda dell’acqua, ho risalito la collina, sono scesa dalla parte opposta avendo davanti il Castello di Illasi…. Credo di esserci passata dentro una volta in una gara, penso fosse la Divinus Bike, qualche anno fa.
Ho continuato a salire talmente piano da notare le foglie al lato del sentiero spostarsi ed apparire dei piccolissimi topolini marroni, non più lunghi di tre centimetri, sono discesa dal lato opposto, ho fatto un pezzo a piedi sotto un passaggio dove non potevi passare in sella, ho seguito il lungo fiume in secca e l’ho attraversato per arrivare sulla strada ed al traguardo, passandolo con la testa bassa ed il numero in mano.
Ho tirato dritto verso il camper sentendo ogni singolo osso scricchiolare quando mi sono seduta e spogliata, e mentre l’acqua calda cercava di far passare un po di stanchezza mi sono fatta la domanda di sempre: perché lo fai Kathy!
Perché continuo a rimettermi in gioco in un gioco che tale non è più da tempo ma che è diventato sfida contro me stessa e contro tutti, rischiando di farmi male davvero ma continuando a testa bassa?
Non ho mai saputo rispondermi.
Zoppicando torno al parterre di gara, consegno il chip e mi metto in coda per il pasta party, due parole con i vicini di tavolo e poi me ne torno al parcheggio dopo aver salutato gli amici con una specie di appuntamento alla prossima.
Non sono in classifica ma non me ne importa un cavolo; una persona molto speciale mi ha detto che non ho mai corso per il posto in classifica ma per il piacere di farlo ed è vero, mi ci è voluta una notte intera di pensieri per dargli ragione, ho voluto provare un percorso decisamente sopra le mie possibilità, ho cercato di dare quello che avevo, ho letto negli sguardi della gente che pedalava con me la gioia di farlo per pura passione, il resto conta ben poco.
Mi ci vorrà qualche giorno per non zoppicare più ma ci si vedrà su altri campi di gara, sempre alla mia maniera, perché di più non riesco ma questo è quello che sono e che sarò ancora per un po’.
2 commenti:
Brava Kathy lo sappiamo solo noi quel che passiamo per metterci alla prova e non è la classifica a renderci merito di questo ma quel che proviamo dentro di noi ogni volta che otteniamo il trisultato voluto
si chiama masochismo...è una deviazione del comportamento, ci si può rivolgere ad uno psicoterapeuta!!
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