
Sembra solo ieri ed era il 1976.
Al mattino la rincorsa ai messaggi su Facebook, sapere che gli amici stanno bene ma che la terra continua a tremare, che torri antiche e palazzi crollati feriscono il cuore della gente e che, purtroppo, ci sono dei morti.
Non so in verità perché è scattata questa molla nella mia testa, la voglia di fare qualche cosa che andasse al di là del sms solidale che non so mai se arriva o no ed io seguo il cuore più del cervello ed ecco che, il giovedì mattina, scrivo un post sulla mia bacheca, uno su Twitter, un altro ancora su di un foglio di carta che distribuisco nella mia via ed inizia questa cosa che non so come definire, una corsa al portarmi materiali che posso portare giu col camper, un aiuto vero e concreto per chi ha perso casa e lavoro ed ora ha solo una tenda sulla testa.

Ho riempito il camper talmente tanto, da pavimento a soffitto, da lasciar solo lo spazio nella postazione guida, testando i freni per vedere quanto mi serve per fermare questo bestione con 700 kg in piu del dovuto, due tute e due maglie di ricambio ed eccomi in viaggio….
Ma prima ho passato il tempo a telefonare a destra ed a manca alla Protezione Civile fino a trovare chi mi indirizzasse verso la destinazione giusta che sarà il campo sfollati di Pegognaga.
Quante volte ho fatto questa strada per arrivare alla Aironbike di Guastalla o la Fosbike di Carpi, il ponte sul grande Po e le cascine la sotto ma stavolta è diverso.
Alcuni tetti di quelle stesse cascine sono crollati, le strade sono transennate perché troppo pericoloso passarvi, le fettucce che di solito delimitano i campi gara ora segnano percorsi obbligati all’interno dei paesi e stavolta non vi è quel colore dato dalle maglie dei ciclisti ma la tristezza di combattere contro un nemico invisibile e vigliacco che colpisce a tradimento, senza preavviso, lasciando dietro di se solo paura e non gioia.
Poco alla volta arrivo a Pegognaga incassando non poche strombazzate dai camion che mi seguivano visto la mia andatura da lumaca, esco dall’autostrada ed il paese è li, poco dopo il ponte e ciò che vedo è strano all’inizio, cioè tutto normale… o meglio cosi sembra ma avvicinandomi comincio a vedere le strade sbarrate dalle transenne, le fettucce tirate all’imbocco di alcune vie, poca gente attorno come se il tempo si fosse fermato.
Chiedo ad un signore fermo accanto alla strada dove è la tendopoli e mi indica la strada sbarrata poco più avanti, aggiro le transenne ed ecco l’ingresso del campo di calcio comunale presidiato dalla protezione civile in uniforme.
Mi avvicino e parcheggio e chiedo del responsabile e scopro che avevano avvisato del mio arrivo, mi fanno entrare all’interno del campo dove parcheggio e mi si avvicina il “capo campo”, il signor Giuseppe a cui dico quello che ho portato….. “ sei arrivata giusto in tempo…”
Aveva piovuto tutto il giorno e la gente nelle tende aveva freddo per cui le mie coperte e trapunte, cosi strane all’inizio di giugno, sono apprezzate e gradite dai più…..
E qua inizia una parte che non mi piace, cioè il vedere gente che si accaparra coperte come se dovesse venderle fin quando non do fuori di matto, chiudo le porte del camper e non do più nulla a nessuno!!!!!
E che cavolo.
Ed allora mi raggiunge il capo della Protezione civile…… qualche volta penso che la divisa dia alla testa a qualcuno, con tutto il rispetto per i più ma sto tipo qua proprio non mi va giù; il fatto poi che si metta a darmi ordini come se io facessi parte di un qualche reggimento poi…
I ragazzi volontari del campo mi invitano alla loro tavola per cena, chido loro cosa c’è da fare domattina e vedo la meraviglia nei loro occhi, “…ma ti fermi”?
Certo che mi fermo, fino a giovedì sera per cui quattro giorni.

In poche parole trovo fuori dalla porta uno della Procivil che mi chiede una coperta perché ha freddo.
Ma cribbio santo hai mica visto che ora è?????????????????????????????
Mattino presto, la sveglia suona e si inizia una lunga tre giorni di lavoro, lavare pomodori, tagliare verdure, preparare i piatti per 200 pasti alla volta, riempire le grosse celle frigorifere con l’acqua in bottiglia portata dai camion, le casse di versure da sistemare, le decine di chili di pasta da versare nelle vasche d’acciaio e consegnare alla ditta che cuoce, la frutta da preparare, le scorte da controllare e tra una cosa e l’altra far camice agli extra comunitari che le regole ci sono in un campo sfollati e non si può fare come cavolo si vuole, che gli orari dei pasti sono affissi e che non sono a casa loro per poter comandare il pranzo o la cena all’ora che fa loro più comodo.
Ma quello che più mi ha ferita ne profondo è veder gettare il cibo, lo sguardo di presa in giro quando ti dannavi l’anima per far tutto in poco tempo cercando di rispettare idee e religioni diverse e non veder dalla parte opposta un ben che minimo sguardo di intesa o una mano d’aiuto.
Questo mi ha ferita.
Ma il dolore più grande è stato vedere giovani coppie con due figli piccoli dormire in macchina e presentarsi al campo solo per lavare i bambini, non chiedendo nulla di più se non un po’ di calore; neppure a pranzo si fermavano perché, detto da uno di loro..: ho perso la casa ma il lavoro l’ho ancora per cui posso comprarmi il prosciutto da solo….
E poco dopo discutere con un altro che vuole la coca cola o la fanta e non l’acqua ed allora non ci ho più visto e gli ho detto di uscire dal campo ed andare al supermercato a comprarsela la coca cola….
I quattro giorni sono volati via, tra stanchezza e sfinimento, tra lo sguardo impaurito di qualche bambino ed il sorriso sdentato di un anziano che regala uno spiraglio di sole a me ed agli altri volontari; stoccare i vestiti dividendoli tra tipologie in scatoloni diversi, distribuire i giocattoli tra i bambini o i lecca lecca vedendoli sorridere, raccontare loro una storia e cercare di essere serena anche quando la terra continua a tremare sotto i piedi o quando, alle 4 di notte, la scossa sarà cosi forte da farmi cadere dal letto.
Oppure prendere mezz’ora di pausa, seduta fuori dalla cucina di campo e chiacchierare con il vice sindaco, Stefano, parlando dei danni strutturali alle scuole ed il suo dubbio sul cosa fare, sul come iniziare a lavorare, tra beni culturali che vorrebbero conservare e buon senso che dice di buttar giù tutto e ricominciare.
Ed ascoltarlo mentre mi racconta di quando, tre anni prima, aveva imposto al consiglio comunale di adottare le normative anti - sismiche e sentirsi deridere e sbeffeggiare come matto per il fatto che li di terremoti non ne sarebbero venuti mai…..

Questo terremoto mi ha lasciato dei segni, non fisici ma morali.
Riconosco la grandiosa dignità della gente emiliana che, tutta assieme, si sta muovendo per tornate alla normalita.
Guardo ammutolita le persone che già stanno approfittando della situazione augurando loro ogni possibile accidente esistente ed ancora da inventare o scoprire.

Io sono dovuta tornare a casa, da mia figlia ed al mio lavoro ma loro sono ancora la, con le maniche arrotolate, la schiena curva e tanta voglia di fare e sono sicura che faranno, tanto.
Con il pensiero sono ancora la con loro e le foto resteranno per ricordare i loro volti, facendomi compagnia.
1 commento:
Ciao Kathy, il lavoro che hai fatto è davvero grande, come grande è la tua generosità.
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