La nuova squadra

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Atletica Franciacorta

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Il mio credo in queste parole

Il mio credo in queste parole


Il vero leone lo vedi solo fuori dal branco.
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco ed i puntini sulle i piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza pers eguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire dai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualche cosa che conosce. Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo maggiore del solo respirare. solamente l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendita felicità.

(P.Neruda)

RICORDATI DI OSARE, SEMPRE!!!!


lunedì 22 marzo 2010

Granfondo 3 Comuni Memorial Ugolini

Una montagna come casa.


Chissà perché, quando accade qualche cosa, quando ti senti persa, torni a casa o in quel luogo in cui ti sei sentita protetta.
Ed un solo posto al mondo mi ha fatto sentire cosi, è un piccolissimo angolo sulle montagne del mio paese natio, una casetta di legno e pietra ferma nel tempo e lontana da tutto, dove si sente solo il gocciolare della neve che si scioglie ed il vento che urla tra le pareti di roccia, sullo Jungfrau.
Per salire fin quassu ci si inerpica lungo una vecchia strada e solo ruote artigliate e pesanti riescono a vincere la pendenza e lo spessore della neve che si presenta in uno strato reso duro dal gelo; e giunti in cima, dove la strada scompare e gli alberi si diradano, a piedi con lo zaino a spalle si va avanti per quello che sembra un lungo tempo ma che, in chilometri, son pochi.
La chiave appesa dietro all’unico scuro aperto come un occhio sulla vallata sottostante, stà li da almeno 50 anni, ed il cigolio della porta di legno gonfiata dall’umidita mi danno il benvenuto nel silenzio più assoluto ma all’interno, il cui unico chiarore è la luce che entra dalla finestra, trovo quel mondo di ricordi e di calore che fanno parte del mio passato e di tutta la mia vita.
Una sola telefonata giorni fa per chiedere “il permesso” di raggiungere questo angolo di mondo e la certezza di trovare un nido quassù, un posto tutto mio dove pensare e guarire quelle ferite che non si vedono ma che fanno più male di quelle che sanguinano.
Una montagna di legna per scaldare la stanza, vecchie coperte fatte a mano con lana grezza ma caldissima, tappeti dai colori sbiaditi dal tempo a rendere accogliente l’ambiente rigido e freddo di questa vecchia baita di montagna ed un armadio di legno dipinto che racchiude al suo interno un piccolo tesoro di cui cibarsi….
I miei “fratelloni” d’oltralpe , quelli che ancora ora a quasi 50 anni mi chiamano “piccola”, quelli che mi hanno curato le sbucciature sulle ginocchia a 5 anni cercano ora di curare quello che non si vede, quello che mi rattrista, lasciandomi sola con i miei pensieri nella solitudine più assoluta del silenzio che urla più di mille sirene dentro la mia testa.
Cinque giorni il cui unico contatto con il mondo sono stati alcuni messaggi con il telefono, cinque giorni per decidere che, comunque, vale la pena di vivere ogni singolo momento anche se fa male e vorresti scappare, che vale la pena soffrire un po’ se poi vedi la felicità nello sguardo di un'altra persona a cui daresti la tua vita se la volesse, una piccola frazione della mia vita vissuta per comprendere che nulla di quanto ci accade è dovuto al caso ma stà scritto nel nostro destino anche se, ne sono convinta, solo noi siamo gli artefici di tutto questo.
Ed allora scendi a valle lasciandoti alle spalle una montagna di emozioni, ricordi e rimpianti, metti nello zaino le tue cose ed in un angolo del tuo cuore chiudi un cassettino con dentro tutto e decidi di tornare e riprendere la tua vita da dove l’hai interrotta…..
Devo correre e correrò fino a quando non troverò un poco di pace interiore.


….credo che l’allontanarmi da tutto e da tutti mi abbia fatto bene, mi sembra di avere di nuovo delle solide radici sotto i piedi e di non vacillare piu.
Ed allora posso tornare a casa, tra le mie cose ed a guardare due occhi azzurri che mi sorridono quando entro dalla porta, gli stessi due occhi che capiscono molto di più di quello che normalmente si potrebbe chiedere ad una ragazzina; e quel suo “ ti ho lavato Valchiria mamma” mi stringe il cuore e l’abbraccio stretta stretta.
Passa cosi poco tempo ed eccomi a caricare bike e sacca sul camper e ripartire verso la pianura della bassa Lombardia, lungo il Po, dove fanno la Granfondo dei tre comuni, memorial Ugolini, ultima prova del River Marathon Cup.
Le ho finite tutte quest’anno, nonostante la brutta caduta alla Aironbike, il vento di Asola e la neve di carpi alla Fosbike; non ha piovuto negli ultimi giorni e gli Slowbikers hanno provato il percorso di quest ultima prova trovandolo scorrevole e veloce.
Poco alla volta il parcheggio preso il centro sportivo si riempie e si trasforma nel solito e colorato accampamento, siamo zingari e girovaghi per amore….della mtb!
Due passi fino alla piazza della partenza, un caffè guardando la piazza che rivedo da anni ormai anche se, da sola, non è cosi bello come quando avevo il mio compagno di squadra ed avventure Dado con me, ma presto anche lui tornera a correre perché, quando si ha una passione, non la si può tenere dentro, nascosta, deve uscire e trovare il suo spazio.
Me ne torno al camper per leggere un po’, ascoltare un poco di musica e riposare.
Come ogni volta l’alba sembra raggiungermi di corsa e la sveglia me la danno le voci di quanti, arrivati presto, hanno parcheggiato accanto a me, un caffè veloce ed a prendere il numero, il 391 stavolta.
I saluti e lo scambio di battute fanno da cornice al prepararsi; di fronte a me fabio Pasquali con la compagna con cui scambio due chiacchiere e poi via, verso la linea di partenza e le griglie di partenza sperando che quelle quattro gocce di pioggia che ho sentito siano solo un illusione; per scaramanzia metto il giubbino anti acqua nella tasca posteriore della giacca ma spero proprio di non doverlo togliere da li.
Siamo in tantissimi e la voce di Alfio ci tiene compagnia mentre le note di Tunderstruck degli AC/Dc esce dalle casse mentre arrivano le 9.30 e la partenza di questa nuova avventura o sfida che sia.
Non ho il mio ipod oggi, sarà la mia testa a decidere quale sarà la colonna sonora di questa domenica mattina e forse I wanna be a rock’n roll singer è quella giusta mentre pedalo.
Via lungo l’argine per il giro di lancio di 5 km che serve a sgranare il gruppo e lascio correre la strada sotto le mie ruote con calma, lascio sfilare i ragazzi che vogliono dare tutto e subito, prendo il ritmo che sarà mio fino alla fine e nel ripassare sotto l’arco dell’arrivo inizia il lungo giro di questa gara, su e giu dagli argini e sulle strade bianche che li costeggiano.
Tanti sono fermi lungo il percorso, forature o rotture e mi dispiace, finiscono anzi tempo la loro avventura ed è sempre un peccato doversi fermare.
Chissà perché ogni gara mi permette di pensare e di ragionare su tante cose; lascio gli altri a correre per raggiungere traguardi e posizioni in classifica, il mio correre altro non è che il raggiungere qualche cosa di poco tangibile ma non meno importante: la serenità interiore.
Ed il come la raggiungo a volte è un mistero anche per me ma so’ solo che stò cosi bene quando arrivo al traguardo e che quello star bene dura per giorni interi.
Poi ecco che all’improvviso i pensieri vengono distratti da un movimento, da un piccolo tesserino che , spaventato a morte da tutta sta gente, mi passa prima accanto e poi mi attraversa la strada: una lepre dalle lunghe orecchie!!
Mi è capitato spesso di vederne girando per le campagne ed una volta, investendone una in pieno, l’ho pure portata a casa per poi scoprire,con parecchio sconcerto, che era viva e vegeta e che, come ho aperto lo zaino, si è data alla fuga saltando qua e la!
Passa il tempo e macino km e non sono stata ancora doppiata ma non faccio a tempo a formulare il pensiero che super Fabio Bionic Man mi passa accanto seguito a ruota da altri due… Fabio Vai vai…..
Uno dei suoi segugi gli chiede”ma a te fanno il tifo anche i doppiati”?
Non ho sentito la sua risposta ma rispondo io….: gli faccio il tifo perché se lo merita, perché è una bella persona e perché ho l’abitudine di guardare le persone negli occhi e quello che vedo nei suoi mi piace ed è bello.
Punto.
Arrivo, doccia, pasta party al tavolo con Angela Peroboni con cui chiacchiero mezz’ora aspettando le premiazioni.
Come all finisher ho diritto allo zaino del circuito e sono soddisfatta cosi, era uno degli obbiettivi 2010 e l’ho raggiunto ma quello che non mi aspettavo era di essere a premio perché le donne, poche come sempre, le premiano tutte.
Le foto, gli applausi e tutto finisce con il saluto agli amici, un bacio a Vania con l’arrivederci alla 24h di Idro in giugno e si torna verso il parcheggio, è ora di partire.
Lungo la strada la musica mi tiene compagnia ed i pensieri sono liberi di andare, mi piace sempre questa sensazione di libertà, questo girovagare da un luogo all’altro per correre e scoprire posti nuovi; guardando nello specchietto retrovisore vedo arrivare un “branco” in moto, sono un numero infinito in formazione a V, il capo davanti con la sua donna sul sellino posteriore e tutti gli altri schierati ad occupare tutta la parte centrale dell’autostrada.
Li guardo passare, con i loro giubbotti in pelle, il casco e gli occhiali, sembrano guerrieri di un mondo perduto e non posso non ripensare ad un tempo lontano, 30 anni fa, in un'altra vita, il rombo di quel motore sotto la sella……sempre due ruote erano.
Ma quella è un'altra storia, ora le ruote sono sempre due ma il motore non sta sotto la sella ma sopra e sono io.
Kathy Pitton

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Visto la parentesi di clausura avrei intitolato questo post : Il ritorno .Ciaooooooo

Anonimo ha detto...

anzi il ritorno del guerriero, al femminile ovviamente.