La nuova squadra

La nuova squadra

Atletica Franciacorta

Atletica Franciacorta


Il mio credo in queste parole

Il mio credo in queste parole


Il vero leone lo vedi solo fuori dal branco.
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco ed i puntini sulle i piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza pers eguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire dai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualche cosa che conosce. Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo maggiore del solo respirare. solamente l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendita felicità.

(P.Neruda)

RICORDATI DI OSARE, SEMPRE!!!!


lunedì 24 ottobre 2011

Lago Gerundo


Non esiste da secoli per cui non mettetevi a cercarlo su Google che tanto non lo trovate!
È stato prosciugato dai Romani ed al suo posto ci sono campagne coltivate a granoturco e mais, quei bei campi che quando ci passi in mtb ti fanno tribolare di brutto saltellando di qua e di la come in un frullatore gigantesco.
Stavolta non sono sola in giro ma in compagnia di Giusy, Silvana ed Ezio.
Tre diavole rosse ed un friulano in trasferta alla conquista delle campagne cremonesi o questa era l’intenzione iniziale.
Accordateci da giorni, alle sei e mezza si parte da casa mia, Giusy ed io in camper e gli altri in macchina con destinazione bassa Lombardia e Bagnolo Cremasco; ci si iscrive li dalle sette e mezza in poi per cui nessun problema se si arriva un poco tardi.
La strada è silenziosa e buia, campagna scura e nebbiosa, un freddo pungente che ci fa chiudere le giacche anche durante il viaggio finché non si scalda l’ambiente e, chiacchierando del più e del meno, arriviamo a Bagnolo, parcheggio il bestione e si va alle iscrizioni.
205 malati di due ruote sono qua, nonostante il freddo e nonostante si scriva sulle riviste specializzate che la stagione delle ruote grasse sia finita, ma a noi non importa, si pedala eccome, freddo o non freddo, fango o asciutto, e lo si fa con la forza e la passione di sempre.
Ci danno anche un pacco gara non previsto, piccole cose che fanno piacere, un caffé caldo e due chiacchiere ed è quasi ora di cominciare a pedalare.
Il camper è comodo perché ci si cambia al caldo ed in un attimo eccoci trasformate da “ragazze” in biker con casco scarpette e guanti, guerriere per gioco e per qualche ora.
Una mezz’ora a pedalare attorno per vedere com’è la strada, 5 o 6 giri attorno al campo sportivo su quella che dovrebbe essere la pista di atletica ed è ora di schierarsi in griglia, divisi per categorie; oggi sono in veste di “capitana” della squadra femminile, non mi hanno risparmiato ne battute ne prese per i fondelli ma siamo tra amici ed il bello è proprio questo.
Silvana ha un attimo di strizza pre-gara ma la capisco, l’ho sempre avuta anche io per cui capisco benissimo come si sente; basta andare piano, non si deve dimostrare nulla a nessuno, segui il tuo ritmo ed arrivi, sempre.
Via che si parte.
Asfalto per un chilometro circa e poi campi, strade bianche e sentieri, scorrevole e veloce, compatto e gelato in alcuni tratti il terreno favorisce lo scorrere delle ruote; solo alcuni punti sono insidiosi, la discesa su di un argine con risalita appena dopo ed un pezzo di campo con delle buche da ribaltamento.
Il primo giro vola, Silvana davanti a me e Giusy già alla rincorsa delle prime, pedalo tranquilla sapendo e sentendo che stò andando bene, che le gambe girano e che la schiena non da fastidio.
Passo il traguardo ed inizio il secondo giro.
Sempre seguendo il ritmo del mio respiro mi accorgo che ho recuperato terreno, che il tempo mi sorride e sono contenta perché tutto sta andando per il verso giusto ma…..
C’è sempre un ma.
Strada bianca, ghiaia su di cui è meglio non frenare, curva secca a destra in un campo e mi trovo davanti Silvana, caduta malamente, con i soccorritori accanto…piange dal dolore e si stringe un ginocchio.
Mi fermo.
La gara non è più importante ora ma lei si.
È un amica, una compagna di squadra ed ha bisogno di aiuto.
Aspetterò con lei l’arrivo dell’ambulanza e solo allora riprenderò la mia corsa, nonostante abbia insistito perché partissi prima mi è parso giusto cosi.
Ormai la gara è andata ma nonostante tutto pedalo fino al traguardo sentendo in lontananza la moto scopa ma arrivo comunque e scopro di essere in classifica ad un giro dalle ragazze ed ottava di categoria.
Non è che sia cosi importante ma va bene cosi.
Giusy felicissima di essere 4° e meritatamente per di più ha un sorriso radioso e decisamente contagioso.
Recuperiamo la bici di Silvana che nel frattempo è stata portata all’ospedale di Crema per accertamenti ed Ezio la mette in macchina mentre io mi occupo di recuperare la sua tessera federale consegnata agli organizzatori dai giudici di gara.
Ezio parte di corsa verso l’ospedale con l’accordo che ci si sente poco più avanti per ragguagli e noi due diavole superstiti ci avviamo al ristoro dopo aver fatto la doccia.
Amici con cui chiacchierare del più e del meno, amici che non vedevo da tempo perché pedalano in circuiti diversi che chiedono cosa è successo alla componente del trio mancante…il tempo scorre veloce e ci chiamano per le premiazioni.
Entrambe portiamo a casa due scatoloni di formaggi assortiti offerti dallo sponsor della gara e sulla strada del ritorno saranno parecchi i compagni di squadra che ci chiameranno per sapere com’è andata la gara e la giornata.
Mi dispiace per il fatto che una di noi si sia ferita ma fa parte del gioco, della passione che ci portiamo dentro.
Quando arrivo a cara trovo la mia dolcissima ragazzina con gli occhi pieni di lacrime: ha visto morire in diretta uno dei suoi campioni, il suo idolo, il pazzo Sic dalla capigliatura impazzita ma dal sorriso disarmate e la domanda che mi ha fatto mi ha lasciata senza parole:
“perché si può morire a 24 anni per una passione mamma?
Perché si deve morire facendo qualche cosa in cui si crede ciecamente e che si ama alla follia?”

NON SO COSA RISPONDERE PICCOLA.
So solo che, a volte, si segue quella passione senza pensare perché ti prende il cuore e stringe, non facendoti vedere quale sia il limite da non superare e la fatalità purtroppo è li, dietro l’angolo, pronta a prendere quello che non si vorrebbe lasciar portar via ma non possiamo farci nulla.
Capisco che a 16 anni tutto questo possa sembrare assurdo e che solo da adulti si capisce che contro il destino non puoi combattere.
La mia giornata finisce cosi, cercando di consolare il mio piccolo angelo, la persona più importante del mondo per me e per oggi la mia Valchiria se ne starà in garage da sola perché Elsa è più importante.
Ci saranno altre giornate in sella, tra il fango, belle storie da raccontare, ma ora posso solo chiudere gli occhi e pensare a quella mamma, una donna che ha perso il suo piccolo, cercando di mandarle un pensiero, di esserle accanto nel suo dolore, tanto immenso da spaccare un cuore.
Il resto non conta nulla.

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